E’ stato un Conclave veloce, quello da cui è emerso papa Ratzinger. E ne esiste una versione dettagliata (i cardinali non sono soggetti alla scomunica Latae Sententiae, come gli altri partecipanti, anche se sono tenuti al segreto….). Finora la versione più accreditata è quella resa nota grazie a Lucio Brunelli, il vaticanista del TG2, che riportiamo più sotto. Ma proprio in questi giorni una fonte certamente autorevole ci ha raccontato una storia diversa dello sviluppo del Conclave.

In realtà in quei giorni dell’aprile 2005 sarebbe avvenuto uno scontro di voti e di preferenze fra il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e il cardinale argentino di origini piemontesi Jorge Maria Bergoglio, sj, molto più ravvicinato di quanto finora è emerso. Un braccio di ferro che si sarebbe concluso solo quando il porporato argentino avrebbe chiesto, “quasi in lacrime”, a quanti lo votavano di desistere. E solo in quel momento allora il 79nne Ratzinger avrebbe cominciato a prevalere in maniera decisa, ma non tale da fargli raggiungere la maggioranza di grande rilievo di cui avevano potuto godere Karol Wojtyla e Albino Luciani nei due conclavi del 1978.

Secondo Giulio Andreotti, Luciani avrebbe avuto 99 voti e Wojtyla 98, con 111 votanti (contro i 115 del Conclave 2005). E alla fine Joseph Ratzinger avrebbe prevalso, ma inizialmente con una maggioranza così risicata che avrebbe chiesto, secondo la nostra fonte, di compiere un’ulteriore votazione di conferma. E solo a quel punto si sarebbe coagulata intorno al suo nome una maggioranza di maggior consistenza.

Non azzardiamo un giudizio sulla veridicità o meno di questa lettura, anche se, come abbiamo detto all’inizio la fonte è certamente molto attendibile. Ma è comunque interessante riportare quella che fino a questo momento è stata la versione più accreditata. Da cui si evince che Jorge Maria Bergoglio ha avuto un notevole numero di preferenze, ma che non avrebbe avuto una reale possibilità di ascendere al soglio di Pietro.

In quell’occasione i cardinali che temevano la candidatura Ratzinger avevano fatto blocco sull’argentino, nel tentativo di impedire che si raggiungesse la maggioranza minima per l’elezione, in modo da obbligare tutti alla ricerca di candidati diversi, come era già avvenuto nel 1978 con l’abbraccio mortale Siri-Benelli, e l’elezione di Karol Wojtyla. Anche allora come oggi il tetto minimo è 77 voti, su un totale di 115 partecipanti.

Nella prima votazione oltre a Ratzinger, che avrebbe avuto 47 voti, ci furono Bergoglio con 10 preferenze, Martini con 9, Ruini con 6, Sodano con 4. Maradiaga con 3 e Tettamanzi con 2. Martini, che non aveva intenzione di partecipare alla “corsa”, e il cui nome era solo una bandiera per coagulare consensi diversi da quelli che volevano Ratzinger papa.

E infatti nella seconda votazione Ratzinger sale a 65, e Bergoglio attira anche i voti di Martini, e altri, dei numerosi dispersi del primo scrutinio (una trentina, sembra) giungendo fino a 35. Martini e Ruini non ne hanno nessuno (hanno portato i propri voti verso i due schieramenti) Sodano 4 e Tettamanzi 2. In questa ricostruzione A Ratzinger mancano 12 voti per raggiungere il quorum dei 77. A Bergoglio ne mancano 4 per ottenere il “blocco”.

Nella terza votazione Ratzinger arriva a 72, Bergoglio a 40. Sarebbe possibile dunque bloccare ogni risultato, e obbligare tutti alla ricerca di un terzo candidato. Che cosa sia accaduto, nel frattempo, non si sa. Ma Ratzinger raggiunge gli 84 voti, Bergoglio raccoglie ancora 26 preferenze, e ci sono dei voti dispersi. Ma Ratzinger è Papa. 84 su 115 non sono moltissimi; e questo forse spiega anche resistenze e difficoltà di governo successive. Ma volendo unire in un’ipotesi la versione della nostra fonte e quella “ufficiale” si può ipotizzare una crisi di coscienza nell’ala di Bergoglio, e il timore di protrarre indefinitamente uno stallo pericoloso per la Chiesa.

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