CRONACA
Nel verbale dell'interrogatorio del pentito le accuse
a Dell'Utri e gli agganci con i vertici di Forza Italia
Giuffré: il boss Graviano
era il tramite con Berlusconi

PALERMO - Il verbale di interrogatorio dell'8 novembre scorso raccoglie le accuse del pentito Antonino Giuffré nei confronti di Marcello Dell'Utri. Le dichiarazioni del pentito sono state depositate oggi agli atti del processo al senatore di Forza Italia, accusato di concorso in associazione mafiosa. Secondo Giuffré, il boss latitante Bernardo Provenzano sarebbe riuscito ad agganciare i vertici di Forza Italia per presentare una serie di richieste su alcuni argomenti che interessavano l'organizzazione. Giuffré dice di aver appreso queste notizie direttamente da Provenzano nel gennaio '93; il capo di Cosa nostra gli avrebbe assicurato che questi nuovi referenti politici nell'arco di dieci anni avrebbero fatto ottenere questi risultati.

I referenti. In uno dei passaggi del verbale, Giuffré dichiara: "Per non commettere l'errore del passato occorreva scegliere dei referenti che portassero avanti con determinazione la risoluzione dei problemi che affliggevano Cosa nostra da ormai lungo tempo". L'ex boss di Caccamo sostiene di aver parlato di questi "referenti" con il capomafia Bernardo Provenzano e con Carlo Greco e Pietro Aglieri.

Il 41 bis. Per Giuffré "Provenzano era interessato alla revisione della legislazione antimafia: in particolare alla revisione dell'art. 41 bis dell'ordinamento penitenziario, alla revisione dei processi, alla revisione della legislazione sui collaboratori di giustizia, sul sequestro dei beni, e più in generale all'alleggerimento della pressione della magistratura".

L'omicidio Lima. Giuffré sostiene inoltre che l'omicidio dell'onorevole Salvo Lima aveva sancito una rottura con la Democrazia Cristiana che rendeva necessari nuovi rapporti con la politica da parte di Cosa Nostra per avere maggiori garanzie. Sul rapporto tra Cosa nostra e quella che il pentito definisce "nuova formazione politica" e che poi esplicita essere Forza Italia, Giuffré dice: "Vi sono state due fasi. Quella dell'acquisizione delle 'garanzie' e quella della ricerca dei referenti 'giusti' sul territorio per le varie elezioni, e cioè candidati almeno apparentemente 'puliti', non dovevano essere sotto inchiesta della magistratura, e quindi non potevano avere alcun timore a portare avanti la politica che interessava a Cosa nostra".

Graviano in contato con Berlusconi. Giuffré parla "delle strade per giungere ai vertici del nuovo partito". "I boss Filippo e Giuseppe Graviano insieme all'imprenditore Gianni Ienna facevano da tramite direttamente fra Cosa Nostra e Berlusconi" afferma l'ex capomafia di Caccamo. I pm chiedono al pentito il perché di questa scelta. "Signor procuratore" risponde Giuffré, "Berlusconi era conosciuto come imprenditore e per le sue emittenti. E' una persona abbastanza capace di portare avanti un pochino le sorti dell'Italia".

Lo stalliere di Arcore. Il collaboratore viene ripreso dal pm, il quale chiede se in passato "c'erano state altre occasioni in cui le dinamiche di Cosa nostra o le attività dell'organizzazione si erano incrociata con quella imprenditoriale di questo soggetto". "Sin da allora" risponde Giuffré "sapevamo il discorso dello stalliere, sapevamo di Mangano che era alle dipendenze di Berlusconi, insomma sapevamo già da tempo che c'era un certo contatto tra Cosa nostra e Berlusconi, grazie alla persona che aveva direttamente in casa. Poi vi erano altre persone che aveva nei punti chiave della sua amministrazione, diciamo un'altra...". Il collaboratore non aggiunge altro, e i magistrati non chiedono di conoscere il nome di questa persona.

Il "pizzo" alla Standa. Giuffré ricorda anche il tentativo di imporre il pizzo alla Standa in Sicilia. Una decisione che sarebbe stata presa da Totò Riina, su suggerimento del boss catanese Nitto Santapaola. Quest'ultimo, secondo il collaboratore, facendo pressioni sulle sedi della Standa "voleva intrattenere un rapporto diretto con Berlusconi". Il neo pentito fa riferimento a un incontro avuto con i vertici di Cosa Nostra, dopo la sua scarcerazione avvenuta nel gennaio del '93. Con Provenzano e i boss Pietro Aglieri e Carlo Greco, componenti della Cupola, Giuffré avrebbe parlato di Marcello Dell'Utri "che costituiva un canale tramite il quale Cosa Nostra aveva acquisito delle garanzie politiche per il futuro dell'organizzazione mafiosa".

L'attentato all'Olimpico. Il collaboratore afferma che "a fronte di queste garanzie politiche, anche Cosa nostra doveva dare garanzie e in particolare venne chiesto all'organizzazione che si inabissasse e che non proseguisse la strategia stragista". E ancora, Giuffré dice che l'esplosivo piazzato da Cosa nostra il 31 ottobre 1993 davanti all'Olimpico di Roma "doveva servire per colpire i carabinieri impegnati nell'ordine pubblico allo stadio e dare un segnale alle forze dell'ordine". L'ex capomafia di Caccamo sostiene che l'esplosivo venne piazzato per volere di Bagarella, senza però collegarlo a "trattative". "Doveva essere un messaggio mandato in alto loco, appositamente alle forze dell'ordine e in modo particolare ai carabinieri. Sarà stato uno dei soliti colpi di testa di Bagarella contro i carabinieri. Comunque, secondo me, è un segnale ben preciso lanciato esclusivamente alle forze dell'ordine".

(3 dicembre 2002)
 
Dell'Utri, pm chiedono
di sentire Giuffré
Il verbale
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