L'ex capo del Sismi: "L'Algeria stava per invadere
il paese vicino per difendere il gasdotto"


Tunisia, il golpe italiano
"Sì, scegliemmo Ben Alì"



di VINCENZO NIGRO
 

ROMA - "Non fu un brutale colpo di stato: fu un'operazione di politica estera, messa in piedi con intelligenza, prudenza ma anche decisione dagli uomini che guidavano l'Italia in quegli anni. Sì, è vero, l'Italia sostituì Bourghiba con Ben Ali". Sono le dieci del mattino: per riscaldarsi ai tavolini del bar di viale Parioli l'uomo del ministero degli Esteri cerca uno spazio al sole fra l'ombra dei platani. "Fu l'Italia a costruire nel giro di un paio di anni la successione indolore fra Bourghiba e Ben Ali. Furono Craxi, Andreotti, il capo del Sismi Martini, il capo dell'Eni Reviglio a garantire una rete di sicurezza al "golpe costituzionale" che Ben Alì mise a segno la notte fra il 6 e il 7 novembre dell'87. La storia è lunga, molto più complicata e molto meno sordida di quanto sembri. Craxi fece una visita in Algeria in cui quelli si dissero pronti a invadere la Tunisia se Bourghiba non avesse garantito la stabilità del suo stesso paese. Gli algerini volevano fare qualcosa per tutelare il gasdotto Algeria-Italia, che nel tratto finale attraversa la Tunisia. L'Italia non poteva tollerare una guerra fra Algeria e Tunisia, ma non poteva neppure permettere che Bourghiba degradasse al punto da rendere insicura la Tunisia. Ma chi sa davvero tutto è l'ammiraglio Martini...".

Le undici di ieri mattina. Nel salotto del suo piccolo appartamento alla Balduina, l'ammiraglio Martini si accomoda in poltrona con agilità insospettabile per i suoi 75 anni. Tutt'intorno i cimeli, i ricordi delle due vite trascorse al servizio della Repubblica, quella da ufficiale di Marina e quella da uomo dei servizi segreti. "La storia è vecchia, ma non capisco proprio perché ci siate saltati su solo adesso: l' avevo fatto capire chiaramente nel mio libro "Ulisse"...".

Ammiraglio, semplicemente perché l'altra sera in Commissione Stragi lei ha pronunciato la parolina magica "golpe", anche se l'ha declinata all'italiana: "Organizzammo una specie di colpo di stato in Tunisia". Cos'è una specie di colpo di stato?
"Allora: all'inizio del 1985 mi chiama Bettino Craxi, presidente del Consiglio. Poco prima era stato in Algeria, dove aveva incontrato il presidente Chadli Benjedid e il primo ministro pro tempore, non ricordo chi fosse..." (il primo ministro pro tempore di Chadli era Abdel Hamid Brahimi, ndr).

"Craxi mi dice: ammiraglio, lei deve andare in Algeria, deve incontrare il capo dei loro servizi. Io gli rispondo: presidente, io in Algeria non ci vado. I servizi segreti algerini sono tra i più attivi nell'organizzare e armare i terroristi palestinesi. Il Sismi in quegli anni non aveva contatti con l'Algeria, con i libici, con la Siria. Non avevamo contatti con i servizi che appoggiavano la galassia delle organizzazioni terroristiche palestinesi. Craxi mi ordinò: lei deve andare in Algeria, si cauteli ma vada lì".

La visita di Craxi era stata la prima di un premier italiano nell'Algeria che dal 1962 aveva conquistato l'indipendenza dalla Francia. Presentando il viaggio, il 26 novembre del 1984 il corrispondente dell'Ansa da Algeri scrive: "La visita di Craxi cade in un momento particolare per l'Algeria, che è impegnata a diversificare le sue preferenze verso altri paesi dell'Europa occidentale dopo i problemi con Francia e Spagna. La diffidenza di Algeri verso Parigi è scaturita anche dalle intese raggiunte recentemente fra Mitterrand, il re del Marocco Hassan II e il leader libico Gheddafi per il Ciad. Inoltre l'Algeria si è trovata circondata da un blocco militare ostile a seguito dell'Unione fra Libia e Marocco senza un'aperta opposizione della Francia".

Craxi giunge ad Algeri il 28 novembre 1984. L'ammiraglio Martini ricorda: "Il presidente algerino prospettò al presidente Craxi un'eventualità che per noi sarebbe stata assai pericolosa. Gli algerini - disse - erano pronti a invadere quella parte del territorio tunisino che è attraversata dal gasdotto. Craxi disse a Chadli: "Aspettate, non vi muovete", e iniziò a muoversi lui con Giulio Andreotti".

Alla fine lei decide il viaggio ad Algeri. "Naturalmente io eseguo le direttive del governo: non avevamo rapporti diretti col servizio algerino, un servizio unico controllato dai militari. Perciò chiamai l'ambasciata a Roma e dopo pochi giorni col mio aereo atterrai ad Algeri. Mi fecero parcheggiare a fondo pista, lontano da tutti e da tutto. Rimasi a parlare fino a notte fonda con il capo dei loro servizi, e da allora avviammo un dialogo che aveva un grande obiettivo: evitare che la destabilizzazione crescente della Tunisia portasse gli algerini a un colpo di testa. L'Italia offriva aiuto all'Algeria, e in cambio chiedeva aiuto all'Algeria nel controllo del terrorismo in Italia".

Aiuto italiano nella "stabilizzazione" della Tunisia?
"Sì. Da quel momento iniziò una lunga operazione di politica estera in cui i servizi ebbero un ruolo importantissmo. Alla fine individuammo il generale Ben Ali come l'uomo capace di garantire meglio di Bourghiba la stabilità in Tunisia. Da capo dei servizi segreti, poi da ministro dell'Interno Ben Alì si era opposto alla giustizia sommaria che Bourghiba aveva intenzione di fare dei primi fondamentalisti che si infiltravano nei paesi islamici. Dopo la condanna a morte di 7 fondamentalisti, Bourghiba voleva altre teste. Noi proponemmo la soluzione ai servizi algerini, che passarono la cosa anche ai libici. Io personalmente andai a parlare con i francesi...".

Ebbe qualche problema col suo collega francese, il capo della Dgse?
"Era il generale René Imbot, ex capo di stato maggiore dell' Armée. Andai da lui, gli spiegai la situazione, gli dissi che l'Italia voleva risolvere le cose nella maniera più cauta possibile, ma che comunque non voleva aspettare che la Tunisia saltasse per aria. Lui fece un errore imperdonabile: mi trattò con arroganza, mi disse che noi italiani non dovevamo neppure avvicinarci alla Tunisia, che quello era impero francese. Io ancora oggi penso che per difendere un impero bisognava avere i mezzi, la capacità ma anche la solidarietà di chi non è proprio l'ultimo carrettiere del Mediterraneo... Imbot era stato nella Legione straniera per vent'anni, aveva guidato i paracadutisti che parteciparono alla repressione nella casbah durante la battaglia di Algeri. Era un soldato, non capiva la politica, ebbe qualche problema con il suo primo ministro Jacques Chirac".

Voi andaste avanti col vostro piano: sempre con il consenso di Craxi e Andreotti? E gli americani, li avvertiste?
"Gli americani non furono coinvolti. Naturalmente io mi muovevo seguendo le direttive del governo, tenendolo informato passo dopo passo. Noi del Sismi non facemmo nulla di operativo in Tunisia, ma collaborammo a un'azione politica italiana che, appena Ben Ali arrivò al potere, riuscì a sostenere il suo governo politicamente ed economicamente ed aiutò la Tunisia ad evitare l'incubo islamico che ha tormentato paesi come l'Algeria".

La notte del 6 novembre 1987 in Italia il presidente del Consiglio era Giovanni Goria, il ministro degli Esteri Giulio Andreotti, il leader del Psi Bettino Craxi. Sette medici firmarono un referto che certificò l'incapacità di Habib Bourghiba, il primo ministro-generale Zin el Abidin Ben Ali divenne presidente della Tunisia.

Martini ieri sera non ha voluto commentare le dichiarazioni di Pellegrino, Craxi e Andreotti su questo che ha definito "una specie di golpe". I giornalisti che da Tunisi il 7 novembre 1987 trasmisero i loro articoli lo chiamarono "golpe costituzionale". Chiamatelo come volete, la storia è questa.

(11 ottobre 1999)
 


Martini: "Sì,
scegliemmo
Ben Alì"


DALL'ARCHIVIO
di Repubblica.it

Pellegrino:
grave la fuga
dei verbali"


"L'Italia dietro
il golpe in Tunisia"


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