SOVERATO WEB - HOME PAGESTORIA della CALABRIA

 

Capitoli:

1-Preistoria

9-

Periodo borbonico
2-Periodo ellenico10-La Repubblica partenopea
3-Periodo romano11-Le insurrezioni contro i Francesi
4-Periodo bizantino12-Il secondo periodo borbonico
5-Periodo normanno13-Il Regno d’Italia
6-Periodo svevo14-La Calabria “in camicia nera”
7-Periodo angioino15-La Repubblica
8-Periodo aragonese  

 
Preistoria

Dai reperti rinvenuti fino ad oggi, i più importanti dei quali ritrovati nelle Grotte di Scalea a Torre Talao e a Papasidero, certamente si comprende che la Calabria è stata abitata fin dal Paleolitico.
Le più antiche testimonianze della presenza dell'uomo in Calabria sono state rinvenute nel giacimento di Casella di Maida (Catanzaro), con industria preacheuleana databile tra 700.000 e 500.000 anni fa. Livelli musteriani sono presenti nella Grotta di Torre Nave (Praia a Mare), con fauna a cervidi e altre specie d’ambiente montano, e nella Grotta di Torre Talao (Scalea). Una mandibola di bambino neandertaliano è stata rinvenuta ad Archi (Reggio di Calabria); un parietale neandertaliano proviene da Nicotera. Una tra le più importanti sequenze preistoriche italiane è stata identificata nella Grotta del Santuario della Madonna a Praia a Mare con, dal basso verso l'alto: livelli della fine del Paleolitico superiore (Tardigravettiano) datati a ca. 12.000 anni a. C., del Mesolitico, di diverse facies del Neolitico medio e superiore, dell'Eneolitico con ceramica stile Piano Conte, del Bronzo (Protoappenninico e Appenninico) e, infine, d’epoca tardo-romana del III sec. d. C. Di notevole interesse sono il riparo e la Grotta del Romito (Papasidero, Cosenza) con livelli dal Gravettiano, all'Epigravettiano (con datazione a ca. (18.700 a. C.), al Romanelliano (ca. 10.960 a. C.) e al Neolitico. Quattro sepolture sono state rinvenute nei livelli romanelliani; due degli inumati erano affetti da nanismo. Un gran bovide e due animali più piccoli della stessa specie sono stati incisi, in epoca probabilmente corrispondente alle sepolture, su un grosso masso presente nel riparo.
Veri e propri insediamenti si hanno però a partire dall’età del Bronzo, con testimonianze su tutto il territorio.E” in questo periodo che si vede la fioritura d’importanti centri, come Torre del Mordillo, e Broglio di Trebisacce. All'Età del Ferro sono databili le necropoli a fossa o a grotticella artificiale di Torre Galli, Canale Janchina e Francavilla Marittima.

Tuttavia la fine della protostoria della Calabria inizia con la colonizzazione greca, avvenuta attorno all’VIII e VII secolo a.c..Prima dei greci, la regione fu abitata da popoli d’origine orientale, quali Enotri (coltivatori di viti), Coni, Morgeti e Itali. Tra le popolazioni delle origini la più rilevante e la più recente è senz'altro quella dei Bruzi, popolo affine ai Lucani, dei quali erano schiavi. Ma le fonti non concordano perfettamente. Per Strabone essi potevano essere sia coloni sia discendenti dei Lucani, mentre per Diodoro Siculo i Bruzi erano «una moltitudine di uomini di varia origine, per la maggior parte servi fuggiaschi».. E' dovuto a questi popoli l’antico nome del Bruzio per indicare tale regione. Essi, infatti, furono chiamati Brutii, durante la guerra contro la Lucania, dagli stessi lucani per indicarli come “servi fuggiaschi”.

Aristotelee Antioco ci narrano che un re leggendario, Italo, avrebbe conquistato la regione e creato insediamenti stabili. Secondo alcuni, Italo era re degli Itali, popolo proveniente probabilmente dall'Anatolia, ma secondo altri degli Enotri. Inoltre, per altri ancora, il nome Italo deriverebbe da quel vitulus (vitello) che richiama l'incisione rupestre di Papasidero. E da qui vitulia (terra dei vitelli), per approdare infine al nome di Italia, che poi è diventato quello dell'intera nazione. Da qui il mito della Calabria come "regione-madre dell'Italia".

Ovviamente non tutti sono d'accordo ed Ellanico di Mitilene, seguito da Timeo e da Varrone, contrappone un'altra leggenda: quella di Ercole che avrebbe condotto i vitelli rubati a Gerione nella vicina Sicilia, denominata quindi a sua volta Vitulia. Ma anche se i tempi sono remoti e incertissimi, più che le fonti predomina il mito.

Nell'antichità, i territori dell'odierna Calabria vennero diversamente indicati:

e infine, sotto i Bizantini nel VI secolo d.C., Calabria, etimologicamente terra d'ogni bene, che fino ad allora aveva indicato il Salento, la penisola che oggi si estende tra Brindisi ed Otranto.

 
Periodo ellenico

Con l'arrivo dei primi coloni greci, si ebbero le prime città. Reggio fu fondata dai coloni Ioni, nel 744 a.c., mentre è opera degli Acheila fondazione che era stata costruita sul promontorio di Zeffiro, che la difendeva dai venti dell’ovest.Durante i primi secoli della colonizzazione greca, Sibari rappresentava la più ricca e popolosa città dell’antichità, nota per l’espansione dei commerci e per la raffinatezza dei costumi. Sibari però fu costretta a declinare a causa dell’emergente città di Crotone. Fù l’arrivo di Pitagora da Samo a far diventar Crotone centro culturale della Magna Grecia, trasformandola, durante i venti anni trascorsi nella città, in una polis completamente diversa e introducendo regole di comportamento e indirizzi culturali capaci di formare una nuova classe dirigente che fu in grado di battere, anche sul piano militare, Sibari. Nel 560 a.c. Crotone e Locri iniziarono una guerra decennale che si concluse con La battaglia della Sagra e che vide la vittoria dei locresi, sostenuti da Sparta. Crotone mosse anche contro Sibari, che fino ad allora era sua alleata. Nel 510 a.c. ci fu una delle più grandi battaglie dell’antichità nei pressi del fiume Trionfo. Si trovarono di fronte centomila guerrieri armati dai Crotoniati, guidati dal leggendario atleta Milone contro quelli dei Sibariti che li superavano per tre volte.La vittoria arrise a Crotone che volle cancellare per sempre l’odiata rivale; dopo settanta giorni di saccheggi fu  deviato, sembra su idea di Pitagora, il corso del fiume Crati, i cui flutti fecero sparire Sibari per sempre.Furono questi gli anni della supremazia di Crotone, alla quale però toccò la stessa sorte di Sibari.Dopo la restaraurazione del partito democratico e la cacciata dei pitagorici e degli aristocratici, la città subì un periodo di decadenza, il quale venne sfruttato da Locri che la affrontò e la sconfisse con la aiuto dei Dioscuri, nel 388 a.c. sulle rive del fiume Stilaro,occupandola per oltre un decennio.Locri, alleata di Siracusa, subì la tirannia dei Dionigi. All'inizio del IV secolo, Dionigi il Vecchio, tiranno di Siracusa, unificò le tre città di Sibari, di Crotone e di Locri con lo scopo di opporsi alla pressione del popolo dei Bruzi. In seguito, intorno al III secolo, queste polis greche si allearono con gli stessi Bruzi, ai Lucani, a Taranto e a Pirro per contrastare la allora emergente città di Roma, la quale tuttavia li sconfisse nel 273 e nel 272 a.c..Fu la stessa causa a costringere le città calabresi a schierarsi a fianco d’Annibale durante la seconda guerra Punica contro Roma, subendo anche questa volta l’ennesima sconfitta.Da questo momento iniziò la dominazione romana e la decadenza d’alcune città quali Locri, che dopo essere stata assorbita dall’impero romano nel 205 a.C., continuò il suo lungo periodo di crisi fino all’Alto Medioevo, cioè fino alla restaurazione da parte di Bisanzio della Calabria intera, avvenuta nel X sec.,e fondando nel IX sec. Gerace come luogo di rifugio dalle incursioni saracene.

 
Periodo romano

Roma all'inizio si contese con Pirro, re dell'Epiro, il predominio dell'Italia meridionale. I Bruzi e le città magnogreche si schierarono contro Roma, che nel frattempo aveva posto presidi nelle maggiori città della regione. Dopo la vittoria di Eraclea (280 a.c.), in cui usò gli elefanti ignoti ai Romani, Pirro raggiunse Locri, dove s’impossessò delle ricchezze del tempio di Persefone, la dea dell'oltretomba e del culto delle stagioni, cui erano dedicati i famosi pinakes.

Lo scontro decisivo avvenne nel 275 a.c. a Maluentum, l'odierna Benevento. I romani restarono padroni del campo, imponendo pesanti condizioni ai vinti. I Bruzi riuscirono a mantenere la propria confederazione, ma subirono la confisca di gran parte dei propri territori, che diventarono dopo il 270 a.c. ager pubblicus, vale a dire proprietà del popolo romano. Ridotti alla povertà, la ribellione dei Bruzi esplose nel corso della seconda guerra punica. Infatti, dopo la vittoria di Annibale a Canne (216 a.c.), i Bruzi si schierarono con Cartagine, mentre le città magnogreche insieme a Consentia con Roma. I Bruzi furono determinanti per le vittorie di Annibale, che si spostò nel Bruzio a partire dal 205 a.c. Vi rimase per due anni, fino a quando, ripetutamente sconfitto, ritornò in Africa, non senza avere dettato, nel tempio di Hera Lacinia, una stele in cui narra le sue gesta. Distrutta Cartagine, la repressione di Roma fu durissima verso i Bruzi. Essi potevano essere solo servi, adibiti alle mansioni più umilianti. E proprio la rivolta degli schiavi guidati da Spartaco, il gladiatore romano di origine Tracia, vide nelle terre dei Bruzi uno dei focolai più indomabili e nella Silva, l'odierna Sila, uno dei territori più inaccessibili al controllo di Roma.
Roma non lasciò grandi segni della sua presenza, in quanto non mirò a romanizzare gli abitanti né a controllare militarmente il territorio.Tuttavia la decadenza di quella che era stata la Magna Grecia diventò inarrestabile. Roma rafforzò le sue colonie e individuò in Crotone, Temesa, Turio e Vibo i suoi capisaldi. Con l'ampliamento degli orizzonti mediterranei, la regione perse la sua centralità. Le città vennero trasformate in municipi e diventarono ognuna indipendente, con ciò allentando gli antichi legami. Nelle campagne sorsero le ville rustiche, quali quelle di Monasterace, Tropea e Leucopetra.

I Romani strinsero la regione in una morsa di ferro e cercarono di rimuoverne la cultura e le tradizioni, soprattutto quelle magnogreche. Ed è proprio allora che avvenne la famosa repressione dei baccanali, documentata dal celebre decreto senatorio del 186 a.c., che non a caso è stato ritrovato nel 1640 a Tiriolo. Il culto di Dioniso, dio del vino e dell'ebbrezza, era diventato un fenomeno di massa dopo gli effetti sconvolgenti dell'invasione di Annibale.

Durante questo periodo, e precisamente in quell’agusteo, la regione fu chiamata Brutium, nome con il quale s’identificò fino alla conquista bizantina. Inoltre, quest’età segna un periodo di stasi nello sviluppo sociale ed economico della Calabria, in cui interi territori subirono per secoli la abbandono da parte dell’uomo con la nascita del latifondo romano e con esso d’aree malariche. Furono tuttavia intensificate e migliorate le vie di comunicazione con la costruzione nel 132 a.c., della Via Popilia, per opera del console P. Popilio Lenate, strada che portava da Capua a Reggio e che diventò l'asse dove si svolse lo sviluppo della regione, e l’aggevolamento della traversata dello stretto dalla Calabria verso la Sicilia .

Nel 71 d.c. fu sconvolta dall’insurrezione di Spartaco che vi si rifugiò e le percorse in lungo e in largo arruolando seguaci dappertutto, soprattutto fra i Bruzi.

La regione trovò qualche tranquillità e benessere solo ai tempi di Teodorico (494-526) e di Flavio Aurelio Magno Cassiodoro (ca 490-583), che ricoprì le più alte cariche pubbliche, tra le quali quella di prefetto del pretorio nel 533, e che si adoperò per una pacificazione tra i Goti e i Latini. Non riuscendo nel suo intento, si ritirò nella natia Squillace, lontano dalle contese del mondo. Dopo aver abbracciato gli ordini monastici, fondò il Vivarium, un monastero a cui impresse un indirizzo spirituale più aperto di quello dei benedettini. In questo cenobio, vera fucina di cultura, si attendeva, attraverso una disciplina severa, allo studio e alla trascrizione dei testi della cultura classica greca e latina. Quando morì, tra il 570 ed il 580, attraverso l'opera di Cassiodoro erano stati salvati e tramandati tesori inestimabili, altrimenti destinati alla distruzione. Pur essendo, come ha notato Giovanni Pugliese Carratelli "isolato in questa sua iniziativa", a buona ragione è stato definito sia "l'eroe e il conservatore della scienza fino al VI secolo" che "l'ultimo dei romani e primo degli italiani".

 
Periodo bizantino

Con la avvento dei Bizantini nel 535 d.c., dopo la guerra greco-gotica, protrattasi fino al 553, si ha una ripresa economica dell’intera Calabria, ma soprattutto di quei territori lungo la costa ionica in cui si venne a creare una sorta di “angolo d’oriente” in un ambiente naturalmente predisposto.É proprio in questo periodo che assunse il nome di Calabria, che fino allora indicava il Salento. Più che di un equivoco, fu il frutto di un espediente al quale ricorsero i Bizantini per non ammettere ufficialmente che uno dei territori più importanti era stato irrimediabilmente perduto.
Tale periodo di tranquillità venne però contrastato dalle incursioni dei Longobardi, fino al X sec. i quali per circa due secoli (VI-VII) s’impadronirono di Cosenza, incorporandola nel Ducato di Benevento, dando vita ad una serie d’unità amministrative dette gastaldati e fondando colonie militari come quelle di  Longobardi e Mormanno. Per diversi secoli, la Calabria diventò non solo un immenso campo di battaglia ma unaterra di mezzo, nello stesso tempo occasione di scontro e d’incontro tra diverse civiltà.
Al X sec. corrisponde la restaurazione del potere bizantino ad opera Niceforo Foca, in seguito del disfacimento di quello longobardo a causa delle lotte avvenute contro gli imperatori germanici della dinastia Sassone.

Erano però già iniziate le prime incursioni saracene, che non furono delle vere e proprie invasioni (anche se stabilirono delle basi lungo la costa, Siberena, l’odierna Santa Severina, Amantea, Tropea, che però non durarono più di qualche decennio, perché l'offensiva bizantina, condotta da Niceforo Foca nell'882, li respinse in mare), ma delle rapide razzie che condizionarono notevolmente la politica degli insediamenti umani e la vita dei calabresi.  Fu, infatti, proprio in questo periodo che avvenne la vera e propria fuga delle popolazioni dalle coste verso l'interno. Questo fenomeno, iniziato sotto i Romani, a causa delle infezioni malariche che infestavano le marine, divenne inarrestabile. Nacquero e si potenziarono gli insediamenti sulle alture, lontani dalle vie di comunicazione principali, chiusi ognuno in sé, realizzati spesso disboscando interi territori e quindi accentuando il dissesto idrogeologico.  La prima incursione documentata, è quella di Reggio nell'812 e per quasi un millennio le invasioni degli Arabi furono una costante nella storia calabrese. Fino all'ultima del 1793 che interessò Pizzo e Tropea.

  Il dominio bizantino, dopo essere stato vanamente attaccato da Ottone II (982), cadde facilmente sotto i colpi dei Normanni che ne portarono a termine la conquista in soli dieci anni (1050-60).

 
Periodo normanno

Alcuni "uomini del Nord", detti Normanni, giunsero nel 1016 in Campania, di ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa. Abili sia come guerrieri sia come politici, ben presto si ritagliarono uno spazio nell'Italia decadente dell'anno Mille. Si scontrarono, prevalendo, con il papato, che scese a patti. Occuparono il Mezzogiorno, che da allora restò unito politicamente fino al

Guidati da Roberto dei conti d'Altavilla, detto il Guiscardo, cioè l'astuto, in una diecina d'anni (1050-1060) conquistarono tutta la Calabria, che era in piena decadenza, riuscirono a dare alla regione e alla popolazione un periodo di sicurezza difendendola dalle razzie dei saraceni e favorendo l’agricoltura e gli scambi soprattutto con la Sicilia. Il loro governo ordinato e sicuro, la riapertura dei traffici marittimi e terrestri, l'appoggio alla latinizzazione del clero e al monachesimo benedettino favorirono una notevole ripresa della regione che continuò poi anche sotto gli Svevi (1214-66) grazie soprattutto a Federico II. Ridimensionato lo strapotere dei feudatari, che alla Corte di Melfi nel 1129 furono costretti a giurare fedeltà a Ruggero II, in Calabria si registrò una ripresa dei commerci per l'eliminazione dell'esoso fiscalismo bizantino e per riapertura dei traffici. Vennero create due circoscrizioni amministrative, dette giustizierati: quello di Val di Crati, corrispondente all'incirca con i confini dell'attuale provincia di Cosenza, e quello della Calabria, comprendente la restante parte di territorio. Scelsero quale capitale Mileto, e vi costruirono la corte e la zecca, chiese e edifici pubblici. Nell'opera di conquista del Mezzogiorno, i Normanni ebbero un grande alleato nella Chiesa di Roma, che li aveva riconosciuti sovrani e che in cambio ottenne il loro aiuto contro la Chiesa d'Oriente. In Calabria, in modo graduale, venne sostituito il rito greco con quello romano, furono costituite nuove diocesi e venne dato impulso alla fondazione d’abbazie degli ordini latini, a cui vennero riconosciuti privilegi, prebende e poteri anche feudali.

Con loro i Normanni portarono un nuovo sistema sociale ed economico che accompagnerà la Calabria fino alla rivoluzione industriale: il sistema feudale. Quest’ultimo avrà conseguenze negative per la regione soprattutto con la avvento degli Angioini prima e degli Aragonesi e Spagnoli poi (1260-1503).

 
Periodo svevo

 A tredici anni, il figlio di Costanza assume il potere come Federico II. Il padre era morto da dieci anni, nei quali l’anarchia baronale aveva ripreso vigore. Sebbene in tenera età, prese subito in mano la situazione. Ristabilì l’ordine e impose che i privilegi feudali, l’amministrazione della giustizia, la maggior parte dei commerci e la sicurezza dipendessero esclusivamente dal sovrano, che regnava per volere di Dio ed era strumento della Sua Provvidenza. Con mirabile equilibrio, riuscì a fondere elementi della cultura greca e latina, araba e bizantina, normanna e sveva dando vita ad uno Stato accentratore ma illuminato, cattolico ma tollerante verso musulmani ed ebrei, fieramente autonomo dalla Chiesa di Roma, tanto che, per due volte, venne scomunicato.

La corte di Palermo diventò uno dei centri culturali più importanti del tempo, e proprio lì cominciò a prendere corpo la prima scuola poetica italiana, detta appunto siciliana, e dove c’era anche un nucleo di calabresi, tra i quali Folco di Calabria e Dolcietto. Nel 1224 fondò a Napoli la prima università statale d’Europa per creare i funzionari dell’amministrazione reale. Nel 1231 con le costituzioni di Melfi diede la prima raccolta di leggi amministrative d’Europa.

Ed è proprio a quegli anni che Robert D. Putnam fa risalire le diversità tra Nord e Sud della penisola. Infatti, in quello stesso periodo al Nord s’imponevano le libertà civiche, tanto che quest’epoca è stata definita l’ Italia dei Comuni, nei quali c’era un autogoverno limitato ma diffuso, che incentivava i commerci e la nascita della classe borghese. Nel Mezzogiorno, invece, tra potere centrale fortissimo e i baroni nelle periferie, ci venne destinato uno sviluppo al di fuori dei Comuni, che da noi non ebbero praticamente alcun ruolo. Più che di Comuni, la nostra è stata storia di feudi, che però, a differenza di quanto avveniva altrove, erano proprietà del sovrano e assegnati ai nobili o alla Chiesa. Ciò comportava i cosiddetti “diritti di uso civico” attraverso i quali i liberi cittadini potevano utilizzare le terre del feudo per le proprie necessità.

Vi fu una consistente ripresa economica e culturale, con la creazione di nuove città, quale Monteleone, nei pressi della greca Ipponio, e la realizzazione dei famosi castelli federiciani. Infatti, vennero eretti o ricostruiti i castelli di Cosenza e di Nicastro, di Monteleone e di Roseto Capo Spulico, di Rocca Imperiale e di Belcastro e di Saracena.

Federico morì improvvisamente a Lucera nel 1250 e il regno che aveva suscitato l’ammirazione ed il timore dei contemporanei non gli sopravvisse. Infatti, i suoi discendenti non furono in grado di controllare né le mire della Chiesa, né le rivolte dei baroni. Seguendo uno schema fedelmente riproposto nei secoli successivi, la classe dirigente calabrese, formata allora dalla nobiltà e dagli alti prelati, in maggioranza si schierò con personali e locali, oltre che di elementare opportunismo. In Calabria si distinsero soprattutto alcune famiglie, il partito del papa, quello guelfo, tendente ad ottenere maggiore libertà d’azione, concessioni e privilegi. Da noi, non si trattò di diverse visioni del mondo, ma molto più praticamente di interessi delle famiglie, e in particolare i Ruffo.

 
Periodo angioino

Dopo la morte di Federico II, figlio di Enrico IV e di Costanza d Altavilla, principessa normanna ed ereditiera del Regno di Sicilia, il trono venne occupato dal figlio Corrado IV e successivamente dal figlio illegittimo Manfredi. Allorché nel 1261 un vescovo francese divenne Papa con il nome di Urbano IV, il regno di Sicilia venne confiscato. Tale diritto di confisca da parte della chiesa era legittimo in quanto i Normanni avevano ottenuto il regno esclusivamente in qualità di concessione feudale del Papa per l’aiuto datogli contro i Longobardi e i Bizantini e motivato dal tentativo di impedire l’unificazione dell’Italia settentrionale con quella meridionale progettata prima da Federico II e poi da Manfredi. Una volta confiscato il regno, Urbano IV lo offrì a Carlo d'Angiò,fratello di Luigi IX re di Francia, il quale si diresse con il suo esercito alla volta dell’Italia meridionale e la conquistò nel 1266, grazie alla vittoria ottenuta nella Battaglia di Benevento, nella quale perse la vita lo stesso Manfredi. In questo periodo si verificò una vera gara per l’accaparramento del potere da parte dei baroni; la Calabria seguì dunque una tendenza del tutto estraneo a quella seguita dagli stati europei, i quali al contrario dello sbriciolamento dello stato verificatosi in questa regione, si andavano delineando come monarchie assolute.Ma i contrasti tra le opposte fazioni continuavano, alimentati dalla pressione fiscale regia e dalle crudeltà dei nuovi governanti. Reggio, Seminara, Stilo, Amantea, Squillace, Gerace, Bova furono teatro di scontri e saccheggi. Che divennero sistematici per tutto il ventennio in cui si combatté, tra Angioini ed Aragonesi, la guerra del Vespro, iniziata nel 1282 con la sollevazione dei siciliani, che avevano visto la capitale del Regno trasferita a Napoli, e le pretese dinastiche di Pietro d'Aragona, che era marito di Costanza, figlia di Manfredi. La guerra ebbe termine nel 1302: la Sicilia venne assegnata agli Aragonesi, mentre il resto del Mezzogiorno diventò il Regno di Napoli e restò agli Angioini. La Calabria era stata devastata da questa guerra senza quartiere, in cui i nobili avevano aumentato dismisura il proprio potere. L'immobilismo economico, la cristallizzazione sociale, la pressione fiscale, la prepotenza baronale rappresentarono anche per la Calabria, come per tutto il Mezzogiorno continentale, elementi che non potevano certo favorire lo sviluppo economico e civile. Trascorsi poco più di quarant'anni dagli scontri con gli Aragonesi, salì sul trono di Napoli la regina Giovanna I, che per decenni governò all'insegna della sventatezza. Gli effetti sul Regno furono devastanti, né la situazione migliorò con la presa del potere di Carlo, del ramo dei Durazzo d'Angiò. Le lotte tra i vari rami della dinastia, salvo la parentesi in cui regnò Ladislao, concentrarono quasi tutto l'interesse dei sovrani sulla capitale, mentre le province verranno lasciate in mano ai baroni e agli alti dignitari della gerarchia ecclesiastica. S’imposero in Calabria, con ramificazioni a Napoli e in tutto il Mezzogiorno, famiglie quali i Ruffo, gli Spinelli, i Caracciolo, i Sanseverino, i del Balzo. Spesso erano in lotta tra loro, ma più spesso si schieravano tutti insieme appassionatamente contro il re, per difendere privativi e privilegi.

 
Periodo aragonese

Dopo che il regno cadde in preda alle guerre civili, dovute alle divisioni della famiglia angioina in diversi rami rivali, impegnate nelle lotte di successione, gli Aragonesi conquistarono l’intera Italia meridionale nel 1442 con il re Alfonso I d’Aragona. Il nuovo sovrano, detto il Magnanimo, per i suoi metodi tolleranti e accorti, si rese subito conto che non poteva contrapporsi allo strapotere baronale, particolarmente forte in Calabria, e quindi preferì adottare una politica di compromesso. Nominò viceré di Calabria Antonio Centelles, che gli aveva reso particolari servigi, ma che più che al sovrano era fedele a se stesso. Lo dimostrò allorquando Alfonso lo incaricò di concludere il matrimonio tra Innico de Avalos, nobile castigliano che per la sua fede aragonese aveva perso tutti i beni in patria, e la bella Enrichetta Ruffo, ultima erede dei ricchi feudi dei conti di Catanzaro. Il matrimonio riuscì a concluderlo, ma fu lui che, secondo il costume del tempo, prese possesso sia di Enrichetta sia delle sue terre.

  Nel 1458, dopo che la sua corte era diventata splendida come quella del Magnifico a Firenze, Alfonso I morì. Nel Mezzogiorno continentale gli successe Ferrante, che però era un figlio illegittimo. Questa circostanza diede l'ennesima opportunità ai baroni di contestare il potere del re, seguendo con ciò un collaudato copione. Ancora una volta Centelles si distinse nell'ordire congiure contro gli Aragonesi. In questo fu favorito da un diffuso malcontento popolare, causato soprattutto da una forte pressione fiscale. L'intera regione nel 1459 prese fuoco, coinvolgendo feudatari riottosi, plebi inferocite e comunità deluse. Si trovarono insieme per la prima volta, ma con bisogni tanto diversi, i principi di Rossano ed i villani di Zagarise, i conti di Catanzaro ed i contadini dei casali cosentini.E i primi strumentalizzarono i secondi. Impressionato dalla vastità delle sollevazioni, Ferrante mandò in Calabria le truppe regie sotto il comando di Alfonso de Avalos, ma la bufera non si placò. Scese egli stesso in quelle riottose province, ma la tempesta non diminuì. Inviò allora Maso Barrese che con inaudita ferocia stroncò la rivolta, a furia di massacri, tra i quali quelli di Acri e della Roccelletta. Nel frattempo, si era inserito il tentativo di Giovanni d'Angiò di riconquistare il regno, che naufragò con la sconfitta di Troia nel 1462.

Ci fu poi un ventennio di relativa tranquillità, fino al 1485 quando scoppiò, sostenuta anche da Innocenzo VIII, la congiura dei baroni napoletani, che Ferrante risolse con uno stratagemma. Invitò nel 1486 tutti i contestatori al Maschio Angioino e li fece arrestare in quella che ancora oggi è indicata come "Sala dei baroni". Tra questi c'erano il principe di Bisignano ed il conte di Mileto, entrambi della famiglia Sanseverino. Domata la congiura, gli Aragonesi frantumarono i grandi feudi, assegnarono le terre a dignitari fedeli, spodestarono chi aveva tradito, crearono e confermarono nuove città demaniali tanto che il loro numero per la prima volta superò quello dei feudi. Ricostituirono i demani ed in primo luogo quello silano per frenare le cause delle rivolte dei contadini dei casali.Si registrò una timida rinascita economica, con un accresciuto traffico nei porti e con una ripresa dell'artigianato.

Ma la vitalità economica e civile durò solo qualche anno, sebbene fosse stata promulgata nel 1483 la Prammatica del Re Ferrante d'Aragona, che Croce definì la Magna Charta della società meridionale del Rinascimento. Nel 1494 morì Ferrante e gli successe il figlio Alfonso II, e nello stesso anno il re di Francia Carlo VIII entrò in guerra per riconquistare il Mezzogiorno. A soccorso degli Aragonesi si schierò la Spagna e il Sud diventò un immenso teatro di guerra. Nacque proprio allora l'affermazione, insieme rassegnata e disincantata: «Franza o Spagna, purché se magna». Dopo alterne vicende, con la battaglia di Seminara del 1503 gli Spagnoli, guidati da Ferdinando de Andrada, conquistarono la Calabria e tutto il Regno di Napoli. Vi restarono per oltre due secoli.
Il dominio aragonese fu quindi caratterizzato da numerose lotte dinastiche tra i baroni aragonesi e angioini, che ebbero come risultato l’accrescimento della distanza tra lo stesso stato e i calabresi. Fu probabilmente da questa situazione che ebbe inizio la problematica meridionale con le numerose rivolte dei contadini e le repentine repressioni dei baroni. Sotto il governo spagnolo, infatti, a causa del crescente strapotere dei baroni locali, la situazione economica e politica andarono peggiorando e aumentò perciò il malcontento del popolo. Di qui, perciò, le numerose rivolte fra cui soprattutto famose quella guidata da Antonio Centiglia (1458-59) e ferocemente repressa da Ferdinando I d'Aragona e quelle, posteriori, di T. Campanella (1599) e di Masaniello (1647).

 
Periodo borbonico

Con l'occasione della guerra di successione polacca, un esercito spagnolo occupò Napoli. E nel 1734 il figlio di Filippo V di Borbone ed Elisabetta, Carlo di Borbone, s’insediò sul trono. Si aprì per il Sud e la Calabria una nuova fase: il Regno dei Borbone di Napoli.
Prima di tutto, Carlo non fu un sovrano che " prendeva", ma uno che " dava". Innovatore e illuminato, Carlo affrontò con decisione i problemi del Regno. Lo fece anche in Calabria, dove subito si cimentò con una questione fondamentale: gli usi civici. Contese interminabili si erano svolte nei secoli passati ma stavolta è invece la Corona che, nel 1752, prese direttamente in mano la situazione e la sbrogliò a vantaggio del demanio e di se stessa. Le riforme di Carlo facevano sentire i propri effetti anche in Calabria. Infatti, la regione cresceva e si sviluppava in modo più ordinato con l'istituzione del Catasto Generale (che introduceva un sistema fiscale moderno), del Supremo Tribunale del Commercio (che coordinava le attività economiche) e il potenziamento della flotta mercantile (per cui anche i porti di Reggio e Crotone aumentarono in modo considerevole i propri traffici). Erano anni in cui a Napoli c'era una libera circolazione delle idee, che producevano testimonianze fascinose e inquietanti come quelle di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero. Ma allora era tempo di grandi fermenti. E le idee riformatrici e illuministe trovavano a Napoli, e di riflesso anche in Calabria, un terreno molto fertile. Che le cose stessero cambiando lo si era visto già nel modo in cui la dinastia aveva affrontato il problema degli usi civici e aveva proceduto alla tassazione di gran parte dei beni dei religiosi, che in Calabria rappresentavano rendite considerevoli. Ma nel 1783 successe l'imprevedibile. Un terremoto immane interessò la Calabria meridionale, con epicentro nella Piana di Gioia, dove le sciagure sono devastanti. Interi paesi vennero distrutti, montagne si spaccarono, fiumi strariparono. Era il 5 febbraio. Passò poco ed il 28 marzo si registrò un'altra scossa che addirittura provocò un abbassamento di tutta la parte centrale della regione. Infatti, non solo i danni agli edifici furono incalcolabili (vennero persi per sempre tesori inestimabili, dall'età greca in poi), ma fu un autentico massacro di uomini, che restarono in decine di migliaia sotto le macerie. I paesi completamente distrutti o seriamente danneggiati furono intorno a trecento. In quest’occasione, l'intervento dello Stato fu tempestivo ed efficiente, e anche gli storici meno sereni sono costretti ad ammetterlo.
La Calabria con una serie di provvedimenti diventò, sotto i Borbone, un vero laboratorio politico. Infatti, lo Stato mise gratuitamente a disposizione degli avvocati per assistere i Comuni nelle controversie contro i nobili che avevano abusivamente occupato le terre demaniali. Quindi istituì, sotto la direzione del ministro delle Finanze del Regno, nel 1784 la Cassa Sacra, che aveva il compito di incamerare i beni di quasi tutti gli enti ecclesiastici per amministrarli o porli in vendita. L'utile sarebbe stato rivolto per la ricostruzione della Calabria. La società calabrese era in movimento, gli antichi equilibri sociali non reggevano più. La Cassa Sacra venne sciolta dopo sedici anni, con la constatazione che le ricchezze appartenute alla Chiesa erano state sovrastimate. Ma i risultati positivi indubbiamente vi furono e la manomorta ecclesiastica, cioè la rendita parassitaria della Chiesa, venne praticamente ridotta al minimo. Si deve proprio ai Borboni le importanti iniziative della costruzione della fabbrica d’armi nel XVIII sec. a Mongiana e a Ferdinandea nelle serre; esse rappresentavano le prime e vere fabbriche calabresi.

 
La Repubblica partenopea

Anche a Napoli era tempo di cambiamenti. L'abate Jerocades a Pargherlia, Giovanni Labonia a Rossano, Francesco Valitutti a Paola, Giuseppe Logoteta a Reggio Calabria e altri intellettuali, sparsi per tutta la regione, sposarono le cause della massoneria e dei tempi nuovi. Ma le vicende incalzavano. A Parigi Napoleone conquistava il potere: la Rivoluzione diventava europea. Arrivò in Italia il generale Championnet, che indusse Ferdinando IV a rifugiarsi in Sicilia.
A Napoli fu proclamata la Repubblica il 22 gennaio 1799 a Castel S. Elmo. Il giorno successivo le truppe francesi entrarono a Napoli, dopo combattimenti sanguinosi. La Repubblica Partenopea ebbe vita breve, neanche sei mesi.

Il giorno dell'insediamento alla corte di Palermo, il 25 gennaio 1799, Ferdinando IV nominò Vicario Generale del Regno il cardinale calabrese Fabrizio Ruffo, che nel già 1791 lo stesso sovrano aveva incaricato di sovrintendere alla colonia agricola di S. Leucio. L'8 febbraio, con sei persone, il cardinale sbarcò sulle coste calabresi, nei territori che erano feudo della sua famiglia, sventolando quella bandiera bianca che sarà destinata a diventare il vessillo delle Armate della Santa Fede. Ruffo invitò le popolazioni ad insorgere in nome della religione e del re. I parroci fecero suonare le campane, la sollevazione diventò popolare, incontenibile. Nel giro di pochi giorni furono più di quattromila. Passò per Palmi, da dove indirizzò un proclama Ai bravi e coraggiosi calabresi, quindi fu a Monteleone, Pizzo e poi a Catanzaro. Nel frattempo Crotone, che aveva fatto la scelta repubblicana, fu occupata e saccheggiata dal brigante Panzanera. Questo episodio ebbe effetti devastanti per il Cardinale, il cui esercito si sbandò. Dovette cominciare tutto da capo, ma il consenso era ancora fortissimo e in pochi giorni riunì un'altra armata di settemila uomini e mosse verso Corigliano. Nel frattempo, per contribuire alla causa, gli inglesi avevano fatto sbarcare un migliaio di galeotti sulle coste calabresi. Ruffo li assegnò a Nicola Gualtieri detto Panedigrano, un altro brigante, che li utilizzò con ferrea disciplina.

A Cassano ormai l'Armata, fatta d’irregolari, truppe baronali, ex carcerati, cavalieri, artiglieri era composta di oltre sedicimila uomini. La Calabria aveva risposto alla chiamata del cardinale, che poi, dopo l'assedio e gli eccidi d’Altamura, riuscì a conquistare la capitale nel giugno

Dal 29 giugno 1799 all' 11 settembre 1800, furono decapitate o impiccate in Piazza Mercato a Napoli alcune delle più belle e nobili intelligenze d'Europa.

 
Le insurrezioni contro i Francesi

Il 14 febbraio 1806 le truppe francesi occuparono Napoli e sul trono s'insediò il fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte. Trovò in Calabria le prime e più irriducibili resistenze. La regione acquistò un'immensa notorietà e venne paragonata in tutta Europa alla Vandea, che si era opposta strenuamente all'avanzata della Rivoluzione. Si era da poco insediato il nuovo monarca che subito, insopprimibile, scoppiò una rivolta, che non accennò a placarsi fino alla fine della dominazione francese.

La scintilla scoccò a Soveria Mannelli, un villaggio della presila. Era il 22 marzo, secondo giorno di primavera e, secondo la tradizione, il francese che comandava il drappello che presidiava il borgo insidiò una bella e giovane donna del luogo. Alle grida della donna, accorsero i paesani guidati da un contadino, Carmine Caligiuri, e i quattordici francesi del drappello vennero massacrati. Da Soveria, l'insurrezione si diffuse come un fiume in piena in tutti i comuni vicini. A nulla servì che i francesi intervenissero in modo spietato, bruciando i villaggi e impiccando i rivoltosi. .A Maida il 4 aprile i Francesi furono sconfitti dai rivoltosi, sostenuti da truppe inglesi.

Il 31 luglio vi fu la proclamazione dello stato di guerra nella Calabria. Si tratta di uno dei pochi provvedimenti formali nella storia dell'umanità, per legittimare le azioni di ferocia inaudita che i Francesi inflissero alle popolazioni della Calabria.

Gli occupanti reagivano così anche perché, abituati a trionfare in tutta l'Europa, non potevano mai immaginare di incontrare una resistenza così tenace proprio in questa sperduta regione. Forse soltanto nella Galizia, ci fu qualcosa di simile, ma mentre in Spagna l'opposizione alla conquista francese è diventata una pagina luminosa della storia nazionale, da noi nei libri di scuola non se ne parla neppure. Nonostante questo, la Calabria restò in guerra fino alla fine della dominazione francese, sebbene nel 1808 diventasse re Gioacchino Murat.

I Francesi abolirono per legge la feudalità, come se un'istituzione secolare potesse essere eliminata per decreto; provvidero alla ridefinizione delle circoscrizioni comunali, aumentandone in modo considerevole il numero; migliorarono sensibilmente il più importante asse viario del tempo, che era stato in precedenza tracciato dai Borbone e che era la strada delle Calabrie (attuale strada statale 19); trasferirono la capitale della Calabria Ulteriore da Catanzaro a Monteleone. E poi misero in vendita i residui beni ecclesiastici.

E con questi provvedimenti, e simili argomenti, unitamente alla guerriglia che senza soste insanguinò la regione per l'intero decennio, la Calabria, secondo qualche storico, « usciva dal secolare isolamento».

 
Il secondo periodo borbonico

Con il Congresso di Vienna, nel 1815, sul Regno del Sud ritornavano i Borbone, nonostante le beghe dello spodestato Gioacchino Murat, che tentò di riprendersi il Regno, approdando proprio in Calabria. Accolto con ostilità, venne prontamente imprigionato e fucilato il 13 ottobre del 1815 nel Castello di Pizzo, che oggi porta il suo nome.

Ferdinando IV, ritornato sul Regno, lo chiamò delle Due Sicilie, diventò Ferdinando I e promulgò i codici che furono ben presto considerati come i migliori d'Europa. In segno di ringraziamento per il ritorno sul trono, fece costruire nel Largo di Corte, oggi Piazza Plebiscito, una monumentale basilica intitolata al santo calabrese Francesco di Paola. Abolì il diritto del maggiorasco per ampliare i trasferimenti della proprietà terriera e nella regione istituì una nuova provincia, dividendo quella Ulteriore in Prima, con sede a Catanzaro, e Seconda, con capoluogo Reggio.

Dovette fare fronte al primo tentativo insurrezionale del Regno, che scoppiò a Nola nel 1820, promosso da due sottufficiali, il monteleonese Michele Morelli e Giuseppe Silvati. Per reprimere la sommossa il re inviò un altro calabrese, il generale Guglielmo Pepe (nella foto), che invece di combattere gli insorti si unì a loro e mosse verso Napoli, costringendo Ferdinando I a concedere una Costituzione e a fare eleggere un'assemblea legislativa, dove uno degli esponenti di maggior spicco fu il barone calabrese Giuseppe Poerio. In soccorso dei Borbone, arrivarono gli Austriaci, che non ebbero difficoltà ad avere la meglio sull'esercito comandato da Guglielmo Pepe. Seguirono gli arresti per i capi dell'insurrezione, ma tutti furono graziati, tranne Morelli e Silvati, ai quali toccò la forca.Tra il 1835 ed il 1837 Luigi Settembrini insegnò a Catanzaro, dove venne arrestato. Nel 1839 si sollevarono i paesi albanesi e quelli del cosentino, ma vennero presto ricondotti all'ordine. Cinque degli insorti furono fucilati, mentre agli altri toccò la galera. Preceduto dall'insurrezione di Cosenza del 15 marzo, che provocò la morte di quattro gendarmi e di altrettanti insorti, nel 1844 ci fu la spedizione di Attilio ed Emilio Bandiera che, partendo da Corfù, sbarcarono a Crotone; intercettati a S. Giovanni in Fiore, furono arrestati dalle autorità borboniche. I fratelli Bandiera e i loro seguaci vennero fucilati nel vallone di Rovito, presso Cosenza, il 25 luglio del 1844 (nell'immagine, la ricostruzione dell'episodio).

Il Quarantotto fu un anno memorabile. Il nuovo re Ferdinando II aveva concesso la Costituzione, per poi ritirarla. . I liberali che erano in Calabria avevano accolto la concessione della Costituzione con grandi speranze, ma vedendo cambiare le cose affrontarono in uno scontro aperto l'esercito reale nella battaglia dell'Angitola. Il 18 aprile del 1853, Ferdinando II decretò l'istituzione di due "Casse di Prestanze Agrarie" che rappresentarono il nucleo originario di quella che diventò nel 1861 la Cassa di Risparmio di Calabria, che avrebbe svolto una funzione fondamentale per lo sviluppo della regione

Ma durante questo secondo periodo borbonico si registrarono in tutta la Calabria importanti cambiamenti. Prima di tutto c'era la quasi completa possibilità di esercitare gli usi civici che consentivano a larghe masse di contadini di utilizzare i vasti demani della Sila e del Marchesato. La popolazione aumentò notevolmente tra il 1801 ed il 1861, passando dai 750.000 a 1.140.000 abitanti. A Mongiana, nelle montagne delle Serre, funzionavano le Regie Ferriere con quasi duemila operai. Secondo alcuni, era il più importante polo siderurgico italiano, che subito dopo l'Unità venne completamente smantellato. Nel 1859, Ferdinando II moriva. Gli successe il giovane figlio Francesco II. Infuriava la seconda guerra di indipendenza e per il Regno delle Due Sicilie i tempi volgevano all'impossibile. Il giglio della dinastia era destinato ad appassire presto.

 
Il Regno d’Italia

Garibaldi era partito da Quarto i primi di maggio e quasi nessuno lo aveva preso sul serio, tranne i Mille, tra i quali c'erano anche ventuno calabresi. Una volta in Sicilia le cose cambiarono e a fine giugno si era già impossessato dell'isola. Sbarcò in Calabria, a Melito Porto Salvo, il 19 agosto. S’imbatté con le armate borboniche il 29 agosto a Soveria Mannelli, paese ritenuto fedele ai Borbone. Erano in diecimila al comando del generale Giuseppe Ghio e avevano cavalli e cannoni ma preferirono non opporre alcuna resistenza. Si arresero senza condizioni.
Garibaldi arrivò a Napoli senza incontrare più alcuna resistenza e propose proprio al generale Ghio il comando della Piazza di Napoli. Ma tutta l'impresa dei Mille fu ricca d’ufficiali che non combatterono e che, una volta finite le ostilità, cambiarono divisa. Sottufficiali e soldati invece andarono ad ingrossare le fila di quell'altra grande guerra civile che, subito dopo l'Unità, infiammò tutto il Sud e che interessò la Calabria in modo profondo. Nei libri di storia la chiamano "brigantaggio".

Dopo l’annessione del Regno delle due Sicilie al Regno d'Italia, sulle popolazioni calabresi si abbatté una serie infinita di tasse: la comunale e la provinciale, la tassa di famiglia e quella sul macinato, oltre all'inimmaginabile tassa di successione e all'impensabile leva obbligatoria. Era davvero una rivoluzione, che a quel tempo veniva meglio definita dalle popolazioni calabresi, come " repubblica", in quanto sinonimo di disordine. E le rivolte, spontaneamente sorte contro i conquistatori, divamparono ancora di più dopo la morte di Cavour, coinvolgendo borghi e villaggi, città e campagne

La Sila divenne il centro del brigantaggio, mentre a decine i comuni calabresi issarono il bianco vessillo gigliato dei Borbone. Tantissime bande operavano nel cosentino e nel catanzarese. Tra queste le più famose quelle di Pietro Monaco, di Pietro Bianco, di Nino Nanco, di Faccione. Spesso erano persone d’umilissime origini, però tra loro ci furono anche un sindaco, un medico e un notaio.La repressione fu spietata e la lotta ai briganti venne condotta in un primo tempo dal generale Cialdini, alla testa di un esercito regolare che venne impiegato in vere e proprie azioni di guerra. Ma la rivolta era non solo contro il nuovo ordine, ma anche contro le classi sociali che con l'Unità cominciavano ad imporsi o consolidavano il proprio potere.Un brigante che operò anche in Calabria, il leggendario Carmine Crocco, così spiegò il suo punto di vista:

« La nostra reazione fu frutto dell'ignoranza, ciò sarà vero, anzi verissimo, ma a promuovere le reazioni vi concorsero pure questi arrabbiati signorotti di provincia che con sfacciata millanteria dicevano: "E' venuto il tempo nostro". E i poveri oltraggiati risposero: "E' venuto pure il nostro"».

La Calabria ancora una volta era in fiamme e vi rimase per lunghi anni, segnati da arresti, scontri, rapine, uccisioni. Le leggi eccezionali Pica del 1863, che esclusero la provincia di Reggio, non frenarono lo sviluppo del banditismo, che si diffuse anche nei comuni dell'alto nicastrese. L'Italia era nata e come primo risultato otteneva quello di indurre molti cittadini ad espatriare. E le cause che avevano provocato il brigantaggio, più alcune nuove, furono i motivi di questo vasto fenomeno che stravolse la società calabrese. Fino all'inizio del secolo partirono quasi 280.000 persone, quasi tutte per gli Stati Uniti. Dal 1901 al 1913, su una popolazione media di circa 1.400.000 abitanti, abbandonarono la regione in 439.000. Di essi ritornò meno di un quinto. Anche stavolta il flusso migratorio, che si bilanciava con l'aumento delle nascite, si indirizzò nella quasi totalità verso gli Stati Uniti, l'Argentina e in misura più ridotta, il Brasile. Fu un esodo che provocò la prima grande trasformazione della regione: economica, culturale, politica. Nel secondo dopoguerra il flusso migratorio riprese, ma con caratteristiche diverse. E nonostante questi esodi, l'aumento demografico è stato molto forte e si è passati dalla popolazione residente del 1871 di 1.200.000 persone a quasi 2.000.000 del 1971. Quasi la stessa popolazione odierna.

Subito dopo lo smantellamento dell'apparato repressivo contro il brigantaggio, in Calabria, scoppiò a Filadelfia un moto repubblicano promosso da Giuseppe Giampà, che durò dal 1869 al 1870 e che venne represso. Assistiamo alla creazione del Parlamento e quindi alla nascita di una classe politica, che venne definita: dei " notabili" in Italia e dei " galantuomini" in Calabria. Nella direzione dello Stato, ai nobili si sostituirono i deputati, alla corte il Parlamento, e i poteri del sovrano vennero notevolmente ridotti. Comunque, i nobili mantennero una percentuale consistente anche nel nuovo sistema. Napoli continuava a mantenere la sua centralità per la nobiltà del Sud.

All'inizio si votò soprattutto in base al censo e quindi in media partecipava in Italia il 2% della popolazione e in Calabria anche meno: nel 1870 era ancora l'1,63. Già dalle prime elezioni del 1861 la Calabria sedeva all'opposizione. Infatti la maggior parte dei venticinque deputati assegnati alla regione apparteneva al partito della Sinistra, che nelle elezioni del 1874 conquistò addirittura 23 seggi su 25. Nel 1876, con l'esordio della Sinistra al potere, arrivò anche il primo ministro calabrese: Giovanni Nicotera, al quale Depretis affidò il dicastero dell'Interno. Cambiato il sistema elettorale con l'introduzione della proporzionale, vi fu l'aumento dei collegi e l'ampliamento del corpo elettorale, che si triplicava. I vecchi partiti tradizionali si sfaldarono e quella fu la stagione del trasformismo. Furono ministri di questi governi diversi calabresi, anche in dicasteri importanti: Luigi Miceli, Bernardino Grimaldi, Bruno Chimirri, Bernardino Giannuzzi-Savelli, Gaspare Colosimo e di nuovo Nicotera. Nel 1893, quando scoppiò uno dei più grandi scandali dell'Italia unita, quello della Banca Romana, vennero direttamente coinvolti Bernardino Grimaldi, ministro delle Finanze, Luigi Miceli, oltre a Giovanni Nicotera e a Rocco De Zerbi, il quale si suicidò.

  Nel periodo giolittiano, la questione sociale si fece avvertire anche nella regione ed esplose con il terremoto del 1905 . Infatti, in mezzo secolo poco si era fatto, e anzi nuovi problemi erano sorti. Si ebbe così la legge 25 giugno 1906, proposta da Bruno Chimirri, che in sedici anni avrebbe dovuto portare la Calabria a livello delle altre regioni. Questa legge venne finanziata con otto milioni, mentre altri 22 milioni erano stati stanziati dalle leggi sulle bonifiche del 1899, del 1900 e del 1902 per consentire la sistemazione idraulica e il recupero delle pianure calabresi invase dalla malaria. Ma gli eventi successivi vanificarono ogni buona intenzione. Infatti nel 1908 un terremoto terrificante rase al suolo Reggio e devastò 167 comuni della Calabria. Le vittime furono circa 25.000 e in quella circostanza vi fu un grande sforzo di solidarietà del governo.

Nel 1913 con l'estensione del diritto di voto ci fu, per la prima volta, un ricambio consistente. Infatti sette deputati su 23 erano nuovi. Miceli, oltre a Giovanni Nicotera e a Rocco De Zerbi.

Nel 1919 la deputazione calabrese fu rivoluzionata. Infatti entrarono combattenti, popolari, socialisti e risultò sconvolta la vecchia organizzazione elettorale delle clientele. Entrarono alla Camera i primi deputati popolari che furono Antonino Anile, Giuseppe Cappelleri, Francesco Miceli-Picardi e Francesco Sensi.

Subito dopo il 1860, le ferriere di Mongiana furono dapprima smantellate e quindi acquistate dalla famiglia di Achille Fazzari, garibaldino e deputato. E nonostante questo, ancora nel 1901 la Calabria, con il 26% di addetti, era più industrializzata perfino dell'Emilia-Romagna. La percentuale calabrese è rimasta sostanzialmente invariata fino al 1977, quando contava il 25% di addetti nell'industria, rappresentando l'unico caso del Paese in cui fossero diminuiti.

Le comunicazioni ferroviarie, che rappresentarono il primo grande investimento dello Stato unitario, non tardarono ad arrivare anche nella regione, agevolando in modo considerevole le comunicazioni e, soprattutto, cominciando a ripopolare lentamente le zone marine. La regione non fu interessata alle operazioni belliche, ma 20.000 calabresi morirono sul fronte. E come nelle più immani tragedie c'è anche il risvolto della medaglia: il servizio militare obbligatorio, che era stata una delle cause del brigantaggio, e quindi la guerra rappresentarono per migliaia di calabresi la possibilità di conoscere l'Italia. La Calabria con un gran lavacro di sangue s’integrava nello stato unitario. Ma un altro rivolgimento, quello fascista, batteva alle porte. Per la Calabria, rappresentò uno scossone ancora più forte, conquistando questa regione alla modernità.

 
La Calabria “in camicia nera”

Così scriveva lo storico francese Jean Besson già nel 1958: « Il fascismo ha portato la vita politica nei paesi della Calabria; e, per questa via, paradossalmente, ha aperto la strada di una moderna democrazia nell'estremo Sud». Il fascismo fu un fenomeno autenticamente di popolo, che fece avvertire anche nella regione quello che Giordano Bruno Guerri chiama « vero e proprio terremoto legislativo e sociale»

La grave crisi dei partiti liberali, gli errori delle sinistre, le tensioni sociali scaturite dalla prima guerra mondiale, erano dei forti stimoli al cambiamento. Le novità promesse dal fascismo, la sua penetrazione in tutti i comuni, il coinvolgimento delle donne nell'attività politica, l'inserimento dei ceti medi emergenti nella struttura del partito determinarono la creazione di un movimento di massa. Nel 1923 gli iscritti nella regione furono circa 27.000 e nel "manifesto" proposto da Croce agli intellettuali, c'era anche la firma di un giovane giornalista calabrese, Corrado Alvaro.

La presenza di Michele Bianchi, che era stato il primo segretario del Partito Nazionale Fascista nel 1921, rappresentò un elemento positivo per la Calabria, tanto che di lui si è scritto che da ministro dei Lavori Pubblici (carica ricoperta tra il 1929 ed il 1930, anno della morte) avrebbe « favorito eccessivamente la sua regione».In effetti, le opere del regime trassero la Calabria dall'antico isolamento. Certamente tantissimi problemi restarono irrisolti, ma in quei vent'anni si fece più di quanto era stato fatto dall'Unità in poi.In questo periodo la "questione calabrese" fu affrontata dal nuovo regime. Nel 1923 fu Michele Bianchi che, con Achille Starace, inaugurava il Parco Nazionale della Sila, dove nel 1932 terminarono gli imponenti lavori dei bacini. Furono creati i laghi artificiali dell'Ampollino, del Savuto, del Cecita e dell'Arvo che producevano un'imponente massa d’energia elettrica. A Crotone nacque il primo polo industriale della regione, con gli insediamenti della Pertusola e della Montecatini, che impiegarono fino a 2000 addetti.Soprattutto tra il 1926 ed il 1931 ci furono investimenti colossali nelle opere pubbliche, che riguardarono le opere di bonifica, le costruzioni stradali, la ricostruzione dei centri terremotati. I " 1000" chilometri di strade calabresi in cinque anni annunciate nel 1924 vennero conclusi solo con qualche anno di ritardo. Vennero completati i lavori delle ferrovie interne, gestiti poi dalle Calabro-Lucane, che rappresentano dei collegamenti ancora oggi, per alcuni tratti, fondamentali.

Per dare maggiore efficienza organizzativa, vennero aggregati numerosi comuni: nacque così la "grande Reggio" che comprese i centri vicini, diventando una delle prime venti città del Regno. Scolarizzazione, mobilità sociale, coinvolgimento nella capillare organizzazione del partito rappresentarono lo sviluppo della Calabria in questa fase.

E' evidente che gli elementi negativi che caratterizzarono la politica fascista, e su tutti la scelta della guerra, lo scellerato patto con Hitler, la limitazione delle libertà, la politica razziale, determinarono l'inevitabile caduta di Mussolini.  A parte qualche purga e qualche bastonata, il regime non aveva offerto nella regione prove di particolari scelleratezze. Anzi, in Calabria il fascismo aveva dato «l'illusione di una sollecitudine governativa e, per la prima volta, un'impressione d’importanza politica». Insieme alle esagerazioni di qualche gerarca, la memoria d’alcuni uomini ancora positivamente resiste nel ricordo dei calabresi. Forse sono gli unici politici dei quali, insieme con Giacomo Mancini, il popolo calabrese serbi un positivo ricordo. Sul finire degli anni Trenta venne costruito in Calabria, in territorio del comune di Tarsia, un campo di concentramento, dove vennero ospitati soprattutto ebrei. Entrato in funzione il 20 giugno del 1940, operò fino al settembre del 1943. Nel periodo di attività, la presenza media era di 1.000 persone. Ma è stato proprio durante il Ventennio che la riscoperta del patrimonio archeologico della Magna Grecia ha ricevuto impulsi rilevanti. Dal 1925 al 1936 Edoardo Galli diresse la Sovrintendenza della Calabria, e, seguendo l'esempio del suo predecessore Paolo Orsi, fece cose importantissime: stabilì il sito di Laos, diede un fondamentale impulso all'individuazione di Sibari e fece edificare nel 1932, su progetto di Marcello Piacentini, il Museo di Reggio.

 
La Repubblica

Caduto il fascismo, circostanza che in Calabria non suscitò eccessivi entusiasmi, la regione nel 1943 venne bombardata e attraversata dalle truppe alleate. Al voto per il referendum istituzionale la monarchia superò il 60%, mentre all'Assemblea Costituente la Democrazia Cristiana era già il primo partito della regione, per restarlo ininterrottamente fino al 1992. Il primo problema da affrontare era quello della terra, in una regione dove gli addetti all'agricoltura erano il 63% della popolazione attiva. Le tensioni, specie in Sila e nel Marchesato, erano molto alte e ad esse si era data un’efficace ma purtroppo parziale risposta con i decreti che vennero emanati nel 1944 dal ministro dell'Agricoltura Fausto Gullo, comunista cosentino, che da allora venne sempre indicato come "il ministro dei contadini". La riforma agraria, che venne predisposta dal Ministero De Gasperi, rappresentò a partire dal 1950 un fatto sconvolgente, dando vita a un esempio pacifico di ridistribuzione della proprietà. Infatti a 156 proprietari vennero espropriati 75.000 ettari, che insieme ad altri 10.000 ettari acquistati successivamente, vennero assegnati a 25.000 nuovi proprietari, tutti lavoratori della terra che coronavano un'aspirazione secolare. Con tutti i limiti, allora si trattò davvero di una rivoluzione spezzare quasi completamente il latifondo in una regione dove solo quattro famiglie possedevano, nella sola Sila, 30.000 ettari. Sempre nel 1950 venne istituita la Cassa per il Mezzogiorno per creare una rete di infrastrutture e promuovere lo sviluppo economico delle aree depresse. In Calabria si aggiunse pure nel 1955 una legge speciale che si proponeva la realizzazione di un piano organico per la sistemazione del suolo. La legge, poi prorogata nel 1968, ha operato fino al 1980. Pur con dotazioni finanziarie non certo sufficienti, stante la vastità e complessità dei problemi e pur con un utilizzo non sempre corretto di questi fondi, anche la legge Calabria, così come l'intervento straordinario, ha provocato indiscutibili benefici. Infatti, con queste risorse sono state realizzate strade, scuole, acquedotti, fognature, asili e tante opere pubbliche indispensabili per rendere accettabile la qualità della vita nei paesi calabresi. Continuava l'esodo migratorio, stavolta indirizzato solo nei primi tempi oltreoceano, quindi verso l'Europa e infine, ma in modo più consistente, verso il triangolo industriale del Nord Italia, dove si stima che, dal 1958 al 1967 emigrassero oltre 700.000 calabresi. Altro fenomeno che si determinò fu quello del popolamento delle coste. Iniziato dapprima lentamente sul finire dell'Ottocento, accentuandosi poi sotto il fascismo, esplose poi negli anni Sessanta e Settanta. Si registrò anche in Calabria la nascita del "ceto politico" cioè di chi faceva politica per professione. La politica diventava così un mezzo di promozione sociale e spesso anche d’arricchimento personale. Con un'economia debole come quella calabrese, senza una classe imprenditoriale sviluppata, la maggior parte delle risorse sono quelle che provengono dalla gestione della pubblica amministrazione e degli enti locali. Nel 1970 entrò in funzione l'Ente Regionale. La nascita di quest’istituzione, che aveva suscitato tante fondate speranze, ha rappresentato finora per la Calabria un oggettivo elemento di debolezza, pur essendo oggi il maggior gestore di risorse finanziarie, soprattutto attraverso i fondi europei e la sanità. La storia di quest’istituzione peggio non poteva cominciare. Iniziò nel 1970 con la rivolta dei "boia chi molla", che paralizzò per mesi la città di Reggio pur suscitando un clamore enorme nel Parlamento e nel Paese. Fu causata dalla circostanza che la città di Reggio si sentiva scippata del titolo di capoluogo di regione a favore di Catanzaro, ma a essa si sommarono anche rivendicazioni sociali e politiche. La polizia, e poi anche l'esercito, presidiarono la città, scoppiarono circa 700 bombe e ci furono sette morti, dei quali tre nelle forze dell'ordine. Dopo una prima fase in cui si distinse il sindaco della città, il democristiano Piero Battaglia, la direzione della rivolta fu assunta dalla destra, e in particolare dal sindacalista Ciccio Franco, che venne anche arrestato, per poi essere eletto ininterrottamente al Senato dal 1972 fino alla morte, avvenuta nel 1991. Questa vicenda ha deturpato la città di Reggio e ha indebolito fortemente fin dal suo nascere l'istituto regionale, scavando dei solchi tra le varie province e determinando una disfunzione endemica, con la collocazione della sede della Giunta a Catanzaro e con la sede del Consiglio a Reggio Calabria. Negli anni Sessanta, nonostante gli indicatori calabresi, caso unico in tutta l'Italia, non volgevano in direzione del "boom" economico, la regione si avvicinò come non mai al resto d'Italia. Merito soprattutto del socialista Giacomo Mancini, ministro dei Lavori Pubblici, leader di primaria grandezza di allora. L'autostrada del Sole, le tre strade trasversali che collegavano lo Ionio e il Tirreno, l'aeroporto di Lamezia rappresentarono davvero i simboli di una Calabria finalmente moderna. E poi strade, scuole, ospedali costellarono tutta la regione. «I lavori pubblici non sono tutto», ammoniva Mancini. Infatti, la situazione calabrese aveva bisogno di consistenti interventi da parte dello Stato, anche alla luce della rivolta reggina. Il governo predispose il "pacchetto Colombo", cioè una serie di provvedimenti che prevedevano la realizzazione dell'Università a Cosenza, insediamenti industriali a Gioia Tauro con il quinto centro siderurgico, a Saline Jonio e a S. Leo con gli impianti della Liquigas, a S. Eufemia con la SIR di Rovelli e a Castrovillari con un’industria tessile. Complessivamente si prevedevano 25.000 posti di lavoro che però non si sarebbero mai visti e che avrebbero invece rappresentato occasioni di speculazione di gruppi economici privati. Ma l'immagine della regione più negativa l'ha sicuramente data la delinquenza, meglio nota come 'ndrangheta. Fenomeno documentabile fin dai tempi dell'Unità, la criminalità calabrese con l'avvento della stagione dei lavori pubblici degli anni Sessanta, ha fatto un salto di qualità e da fenomeno rurale è diventata "imprenditrice", come scrive Pino Arlacchi. Nel giro di qualche lustro, sfruttando anche le notevoli risorse erogate dalla Regione Calabria, «ha raggiunto un livello di sviluppo e di pericolosità simile a quello della mafia siciliana», secondo quanto risulta attestato nel 1987 nella relazione dell'Antimafia. Collegata con il potere politico e ambienti massonici deviati, la delinquenza calabrese ha forti legami anche oltreoceano. Ma la 'ndrangheta ha assunto notorietà soprattutto con i sequestri di persona, una vera e propria industria dove i calabresi hanno dimostrato grande "competenza". Tra i 620 sequestri del periodo 1969-89, 114 sono stati in Calabria, ai quali vanno aggiunti quelli effettuati dalla 'ndrangheta fuori regione. Il totale presunto è di circa 200, che hanno prodotto oltre 400 miliardi di riscatti. Gli anni Ottanta e i primi anni Novanta hanno rappresentato per la Calabria una vera e propria mattanza con oltre cento assassini l’anno. Tra questi alcuni efferati, come quello di Taurianova nel maggio del 1991, dove una testa mozzata venne buttata in aria e usata come bersaglio da tiro a segno. Altri omicidi sono stati "eccellenti", come quello dell'ex onorevole democristiano ed ex presidente delle Ferrovie dello Stato Ludovico Ligato nell'agosto del 1989 e quello, avvenuto due anni dopo, del giudice Antonio Scopelliti, che indagava su importanti processi di mafia. Ma il fatto che ha provocato addirittura orrore a livello mondiale, è stato l'assassinio di Nicholas Green, un bimbo americano di sei anni ucciso sull'autostrada vicino Pizzo. Ma nonostante la palla al piede rappresentata dalla criminalità, , la Calabria sta dimostrando una straordinaria vitalità. Il tessuto imprenditoriale ha prodotto una serie di realtà nel settore agricolo, turistico, industriale che hanno conquistato anche i mercati internazionali. A prescindere dal funzionamento della Regione Calabria, che ha comunque attivato processi economici (inferiori comunque alle possibilità e alle necessità), tante amministrazioni locali sono esempi di buongoverno. Come Rende, il cui piano regolatore è studiato anche a livello europeo, oppure Altomonte, dove il centro storico è stato recuperato e animato in modo ineccepibile. E' immenso in Calabria il patrimonio dei beni culturali, come le antiche città greche, ancora in buona misura avvolte nel mistero e quindi da recuperare con opportuni scavi archeologici. Ma, anche se in ritardo rispetto alle altre regioni, si stanno affermando le università. La prima è nata a Cosenza nel 1972 e sta gradatamente imponendosi in tutto il Paese. La seconda è ubicata a Reggio Calabria, dove opera dal 1981 riprendendo l'esperienza dell'Istituto superiore di architettura, sorto nel 1970. La terza sta per nascere a Catanzaro. L'arrivo, nel settembre del 1995, della prima nave nel porto di Gioia Tauro, dopo un quarto di secolo dall'inizio dei lavori, non è un fatto trascurabile. Questo porto, che rappresenta uno dei più importanti scali per container di tutto il mondo, ha dato l'immagine di una Calabria moderna che può riprendere a svolgere un ruolo nel Mediterraneo in funzione dell'Europa. Una regione, insomma, che ha già in sé tutte le potenzialità per costruire il proprio futuro, ripartendo appunto dai luoghi che venticinque secoli fa vennero toccati dai Greci in cerca di fortuna. E che proprio in questa terra trovarono l'America.

Fonte: Bruzzese Giuseppe