Leggi fascistissime

serie di norme giuridiche italiane varate dal regime fascista fra il 1925 e il 1926
Voce principale: Storia del fascismo italiano.

La locuzione leggi fascistissime,[1] o leggi eccezionali del fascismo,[2] identifica una serie di atti normativi, emanati tra il 1925 e il 1926, che iniziarono la trasformazione dell'ordinamento giuridico del Regno d'Italia nel regime fascista.[3]

Benito Mussolini negli anni 20 del XX secolo

Il compimento, ancorché parziale, di tale processo sarebbe avvenuto però solo nel 1939 quando, pur senza mutare direttamente gli articoli interessati dello Statuto del Regno, la Camera dei deputati fu sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni, la cui composizione e portata reale dei poteri ne escluderanno i caratteri di effettiva titolarità della rappresentanza nazionale e di co-titolarità, condivisa con il Re e con il Senato, del potere legislativo.[4]

Storia modifica

Il primo passo legislativo che consentì alle leggi eccezionali del fascismo di essere approvate dal Parlamento a larga maggioranza fu costituito dall'approvazione della nuova legge elettorale del 1923, la legge Acerbo.

Essa modificò l'essenza del sistema elettorale proporzionale introducendo un forte premio di maggioranza, che assegnava i 2/3 dei seggi al partito che avesse ottenuto almeno il 25% dei suffragi alle elezioni[5]. Alle elezioni politiche italiane del 1924 la Lista Nazionale ottenne il 64,9% dei voti e dunque permise a Mussolini ed al PNF, senza necessità di premio di maggioranza, di ottenere quella larga maggioranza necessaria per trasformare il Regno d'Italia nel regime fascista.

Dal "Presidente del Consiglio" al "Capo del Governo" modifica

Ma dopo la larga vittoria elettorale seguì, paradossalmente, il periodo di maggiore crisi nella fase iniziale del governo Mussolini, ossia il rapimento e l'uccisione del deputato socialista unitario Giacomo Matteotti, seguiti dalla cosiddetta secessione dell'Aventino da parte dell'opposizione parlamentare.[3]

I provvedimenti legislativi cominciarono con la legge n. 2263 del 24 dicembre 1925, che definiva le attribuzioni e le prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri il cui nome mutava in Capo del Governo Primo Ministro Segretario di Stato e la cui posizione gerarchica, da formalmente equiordinata a quella degli altri ministri pur nel riconoscimento del primato nella definizione dell'indirizzo politico-amministrativo e nei rapporti col re e col parlamento, diveniva formalmente e sostanzialmente sovraordinata, stabilendo una responsabilità dello stesso nei confronti del solo capo dello Stato ed una responsabilità di ciascun ministro o sottosegretario di Stato, oltre che nei confronti del re, anche in quelli del capo del governo, rimanendo, in ogni caso, esclusa una qualsiasi responsabilità di ciascun membro o ausiliario del governo nei confronti di ognuna delle assemblee parlamentari.[6]

La successiva legge n. 100 del 31 gennaio 1926 diede facoltà al potere esecutivo di emanare norme giuridiche, tramite decreti legge immediatamente esecutivi, senza efficaci garanzie d'intervento da parte delle assemblee legislative.[7][8]

Introduzione dei podestà modifica

La legge n. 237 del 4 febbraio 1926 rafforzò il potere dei prefetti e abolì il carattere elettivo delle amministrazioni comunali e provinciali, svoltesi fino al 1925, affidando l'amministrazione dei Comuni a funzionari di nomina del Governo, i podestà (mentre a Roma la giunta comunale fu sostituita dalla figura del Governatore, sempre di nomina governativa, con il regio decreto-legge n. 1949 del 28 ottobre 1925).[8] Anche se inizialmente la figura podestarile fu prevista solo per i comuni con una popolazione inferiore ai 5000 abitanti[9] già con il regio decreto-legge 3 settembre 1926, n. 1910 si diffuse a tutti i Comuni italiani.[10]

La legge sulla stampa e l'abolizione del diritto di sciopero modifica

Il 20 gennaio 1926 entrò in vigore una legge sulla stampa (legge 31 dicembre 1925, n. 2307[11]) che disponeva che i giornali potevano essere diretti, scritti e stampati solo se avessero avuto un direttore responsabile riconosciuto dal procuratore generale presso la corte di appello della giurisdizione dove era stampato il periodico. Il regolamento attuativo dell'11 marzo 1926 precisò che il procuratore era tenuto a sentire il prefetto, quindi il direttore di qualunque giornale doveva essere persona non sgradita al governo, pena l'impossibilità a pubblicare.

Infine, la legge n. 563 del 3 aprile 1926[12] proibì lo sciopero e stabilì che soltanto i sindacati "legalmente riconosciuti", quelli fascisti (che già detenevano praticamente il monopolio della rappresentanza sindacale dopo la conclusione del Patto di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925 tra la Confindustria e le corporazioni fasciste), potevano stipulare contratti collettivi.

La "costituzionalizzazione" del Gran consiglio modifica

Con la legge n. 2693/1928 il Gran consiglio del fascismo divenne la suprema autorità costituzionale del Regno d'Italia.[3][13]

Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato modifica

Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato (1926-1943) venne istituito con Legge n. 2008/1926: aveva competenza sui reati contro la sicurezza dello Stato (per i quali era prevista anche la pena di morte) ed era formato da un collegio giudicante (formato da membri della Milizia e da militari).[3][14]

Il monopartitismo modifica

Venne istituito un monopartitismo di fatto, perché il regio decreto n.1848 del 6 novembre 1926 dava disposizione ai prefetti di sciogliere tutti i partiti antifascisti.[15] La ricaduta parlamentare di questa decisione si ebbe quando la Camera dei deputati, nella seduta del 9 novembre 1926, dichiarò la decadenza dei deputati aventiniani[16] - cioè quelli che si erano rifiutati di partecipare ai lavori della Camera a seguito del delitto Matteotti - e dei deputati comunisti che, pur avendo presenziato ai lavori in Aula nel 1924-1926, condividevano l'accusa secondo cui le elezioni del 1924 erano state inficiate da brogli e intimidazioni fisiche a favore del PNF.

Leggi successive al 1925-6 modifica

Alle leggi fascistissime propriamente dette, del 1925-6, fu aggiunta nel 1928 una modifica della legge elettorale per la Camera dei deputati (legge 17 maggio 1928, n. 1019[17]) che prevedeva una lista unica nazionale di 400 candidati scelti dal Gran consiglio del fascismo da sottoporre agli elettori per l'approvazione in blocco. Da allora in avanti le elezioni assunsero di fatto un carattere plebiscitario.

Infine, la legge 129/1939 modificò lo Statuto Albertino sopprimendo la Camera dei deputati e istituendo al suo posto la Camera dei fasci e delle corporazioni, nominata in blocco dal Gran consiglio del fascismo e dalle corporazioni fasciste.[18]

Quadro sintetico modifica

In sintesi, queste leggi stabilivano che:

  1. il Partito Nazionale Fascista era l'unico partito ammesso, con il regio decreto n. 1848 del 6 novembre 1926 che prevedeva lo scioglimento di tutti i partiti, associazioni e organizzazioni che esplicano azione contraria al regime;[15]
  2. già a partire dalla XXVII legislatura, l'opposizione parlamentare era neutralizzata con la decadenza dei deputati aventiniani[16], che costituivano la quasi totalità dell'opposizione; la riforma elettorale del 1928 istituiva un monopartitismo con il sistema plebiscitario;
  3. il primo ministro doveva rispondere del proprio operato solo al re d'Italia e non più al parlamento, la cui funzione era così ridotta a semplice luogo di riflessione e ratifica degli atti adottati dal potere esecutivo;[6]
  4. il Gran consiglio del fascismo, presieduto da Mussolini e composto da vari notabili del regime, era l'organo supremo del PNF e quindi dello Stato, con Legge n. 2693/1928;[13]
  5. con la legge sulle associazioni tutte le associazioni di cittadini dovevano essere sottoposte al controllo della polizia: Legge n. 2029/1925 (chiamata anche legge sulla Massoneria, principale associazione in linea di mira);[19]
  6. gli unici sindacati riconosciuti erano quelli fascisti; erano proibiti, inoltre, scioperi e serrate;
  7. le autorità di nomina governativa sostituivano le amministrazioni comunali e provinciali elettive, che venivano quindi abolite, Legge n. 237/1926;[9]
  8. tutta la stampa doveva essere sottoposta a controllo, ed eventualmente censurata se aveva contenuti anti-nazionalistici e/o di critica verso il governo.

Istituivano, inoltre:

  1. il confino di polizia per gli antifascisti, con Regio Decreto n. 1848/1926 Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza;[15]
  2. l'OVRA, la polizia segreta, il cui primo nucleo è istituito con Regio Decreto n. 1904[senza fonte];
  3. l'obbligo di tutti gli insegnanti di iscriversi al Partito Nazionale Fascista;
  4. il Ministero della cultura popolare;
  5. un libro di testo unificato.

Note modifica

  1. ^ Massimo L. Salvadori, fascismo, in Enciclopedia dei ragazzi, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2005.
  2. ^ Renzo De Felice, Fascismo, in Enciclopedia del Novecento, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1977.
  3. ^ a b c d La perdita di Libertà degli Italiani con le leggi speciali fasciste, su AIPSZ, 4 giugno 2021. URL consultato il 19 febbraio 2022.
  4. ^ Fascismo: la nascita della dittatura, su storiaxxisecolo.it. URL consultato il 28 novembre 2021.
  5. ^ La trappola del '23. Così liberali e sinistra regalarono il governo a Mussolini, su www.ilfoglio.it. URL consultato il 25 ottobre 2023.
  6. ^ a b Legge 24 dicembre 1925, n. 2263, in materia di "Attribuzioni e prerogative del Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato"
  7. ^ Legge 31 gennaio 1926, n. 100
  8. ^ a b Alberto Quattrocolo, Le prime leggi fascistissime, su Me.Dia.Re. Mediazione, Dialogo, Relazione, 20 novembre 2018. URL consultato il 25 ottobre 2023.
  9. ^ a b Legge 4 febbraio 1926, n. 237
  10. ^ Regio decreto 3 settembre 1926, n. 1910
  11. ^ Legge 31 dicembre 1925, n. 2307
  12. ^ Legge 3 aprile 1926, n. 563
  13. ^ a b Legge 9 dicembre 1928, n. 2693
  14. ^ Legge 25 novembre 1926, n. 2008
  15. ^ a b c Regio decreto 6 novembre 1926, n. 1848
  16. ^ a b Tornata di martedì 9 novembre 1926 (PDF), su storia.camera.it, Camera dei deputati, pp. 6389-6394.
  17. ^ Legge 17 maggio 1928, n. 1019
  18. ^ Legge 19 gennaio 1939, n. 129
  19. ^ Legge 26 novembre 1925, n. 2029

Voci correlate modifica

Collegamenti esterni modifica

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