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Corriere della Sera

Briguglio all' attacco

La sfida del cofondatore «Non sono un dipendente Sarà lui a bruciarsi»

«Se fondassimo un partito, prenderemmo pure il 5%... ma loro perderebbero le elezioni»Fini: non lascerò la presidenza della Camera I suoi: siamo abbastanza per far cadere il governo

ROMA - Racconta Sandro Bondi che Fini li ha avvertiti: «Attenti, perché da adesso ci saranno scintille in Aula...». E raccontano i suoi fedelissimi che, con loro, è andato giù ancora più duro: «Io non sono un suo dipendente, non può fare il padrone con me. Se aspetta che me ne vada si sbaglia, ci provi a cacciarmi se ci riesce. Io non ci resto con il cerino in mano, semmai sarà lui a bruciarsi...». In altri giorni si sarebbe detto che certi sfoghi costellano quei momenti che la politica non si nega ma che poi, grazie al tempo, supera. Ma stavolta è troppo profonda la ferita per non essere mortale, è troppo lacerato il vestito per essere rattoppato, se è vero che un finiano doc come Fabio Granata già dice che «la rottura sembra insanabile», e Carmelo Briguglio spiega che «se ce ne andassimo e fondassimo un partito, prenderemmo pure il 5%, ma loro perderebbero le elezioni», e Italo Bocchino disegna tre scenari, nessuno allegro per il futuro di quello che era il Pdl: «Noi ci batteremo per esprimere le nostre posizioni come deve essere in un partito democratico, ma è possibile che o tra due mesi ci si spartisce il partito, o tentano di mandarci fuori, o Berlusconi dice basta a tutto e va alle elezioni anticipate». E dunque, se questo è il clima, se raccontano che dietro le quinte dell' Auditorium della Conciliazione si sono consumati anche i drammi umani di chi ha visto andare all' aria un' intera vita politica - Alemanno che girava pallido, La Russa che pareva di marmo, la Meloni che singhiozzava come una bambina, tutto mentre i finiani si riunivano da una parte con il loro leader organizzandosi per mantenere la posizione senza ulteriori strappi o repliche e i berlusconiani preparavano il documento tenuto segreto fino all' ultimo in cui si scomunica ogni forma di dissenso - non si capisce come si possa convivere sotto lo stesso tetto. Suonano allora quasi paludate le parole di Fini che, qualche ora dopo aver sventolato il dito sotto la faccia del Cavaliere, dice che lui non si dimetterà da presidente della Camera e sarebbe lecito chiederglielo «solo se non presiedessi in modo super partes», che la sua componente «certo molto minoritaria» rivendica il «diritto a discutere» nelle sedi di partito che però «non si sa quali sono, perché la Direzione si è riunita solo oggi dopo un anno», e dice quello che tutti hanno visto plasticamente in diretta tivù: «Oggi è finita la stagione dell' unanimismo». Ma per capire come davvero finirà questa stagione, serve anche guardare ai numeri: dei diciotto finiani in Direzione, secondo Verdini che li contava, solo undici hanno votato contro il documento finale - Urso, Bocchino, Granata, Briguglio, Perina, Moffa, Augello, Lamorte, Viespoli, Tatarella, Cursi -, ma anche Ronchi e la Angelilli fanno sapere di aver votato e dunque la conta arriva a 13, con in più l' astensione di Pisanu che definisce «inaccettabile» la parte del documento che «vieta il dissenso, che non è il sale ma il senso della democrazia». Sono comunque un terzo i voti persi (Pontone, Raisi, Di Biagio, Mazzocchi e Pepe), a dimostrazione che il disorientamento tra i supporter del presidente della Camera c' è, tanto che dall' altro fronte considerano «importante la piega che prenderà il dibattito tra i finiani per capire cosa succederà» da domani. Quando si capirà se davvero verrà messa in atto la provocazione della sfiducia a Bocchino, sulla quale i berlusconiani starebbero raccogliendo le firme, e se diventerà qualcosa più di una minaccia quella dei finiani: «Stia attento Berlusconi: abbiamo i numeri per farlo cadere, e in quel caso il legittimo impedimento non lo proteggerebbe più...». Paola Di Caro RIPRODUZIONE RISERVATA

Di Caro Paola

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(23 aprile 2010) - Corriere della Sera

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