La Ferrovia Massaua-Saati

 

Relazione dell'ingegnere Emilio Olivieri

direttore dei lavori

Roma Tipografia degli Stabilimenti Militari di Pena

1888

 

 Il seno di mare ove trovasi Massaua è limitato a mezzodì dal monte Gedam, un masso quasi isolato di graniti e lave, le cui aguglie nerastre si elevano a 900 e più metri sul mare, che si infrange al suo piede; mentre verso settentrione la spiaggia bassa formata da banchi madreporici si rompe in sporgenze ed in seni, fra i quali il mare penetra talora profondo entro la terra.

A levante quasi schierate davanti la baia stanno le isole Dahlak e le altre minori, taluna delle quali perennemente verde, mentre a ponente spiccano nel cielo a quasi 3000 metri d'altezza le lontane vette dell'altipiano Abissino, ai cui fianchi scoscesi fanno gradino le minori colline, che raggruppate in parecchie catene parallele quasi all'altipiano vanno degradando fino alla sottoposta pianura.

Massaua com'è noto, è costruita sopra un'isoletta, che una diga fatta dal governatore Munzinger pascià congiunge ad un'altra isoletta detta Taulud, la quale alla sua volta mediante un'altra diga è congiunta alla terra ferma. In faccia a Taulud dalla parte di settentrione, separata da un  braccio di mare di cinquecento metri di larghezza trovasi la penisola Gherar ingombra oggi di capannoni di ogni forma, di tettoie, di magazzini. Ivi è installato il comando locale del genio e ivi pure si sta costruendo con muri di mattoni una fabbrica per il ghiaccio. Parecchi binari del sistema Decauville partono di là e si diramano verso Massaua, Arkiko, Hotumlo entro un raggio di 10 a 15 chilometri, e le piccole locomotive che percorrono quelle malferme rotaie fanno un attivo servizio di trasporti per i vari bisogni militari.

Procedendo ancora verso settentrione ed attraversando un altro breve tratto di mare si trova la penisola di Abd el Kader che, a forma quasi di stivale, si protende in mare fino in faccia all'isola di Massaua formando con questa l'imboccatura del porto.

Abd el Kader prende probabilmente il nome dalla tomba, che ivi trovasi, di questo eroe e santo, che quegli indigeni invocano ripetutamente come protettore ogni volta che s'accingono a qualche lavoro per loro importante. Chi sia stato cotesto Abd el Kader non so, ne parmi che esso possa avere parentela coll'eroe della guerra d'Algeri. La sua tomba è un piccolo edificio coperto da una cupola araba ridotta ora a caserma dei carabinieri; al di fuori stanno alcuni sepolcri, quelli forse della famiglia. Del resto nulla ne antico, ne di monumentale. La penisola era pochi anni or sono ricoperta da bassi cespugli di mimose spinose, ed ivi andavano i pescatori a distendervi le reti. La nostra marina incominciò a costruirvi un arsenale con baracconi di legno racchiusi da un recinto rettangolare ornato agli angoli di torri pure di legno, mentre al termine della penisola verso terra si costruiva un forte con parecchie baracche per i soldati. Poi vennero i magazzini delle sussistenze militari e dei foraggi, ed infine la ferrovia, che ivi ha la stazione di partenza ed il deposito dei suoi materiali.

La penisola dall'estrema punta orientale fino al suo piede a ponente ove trovasi il forte è lunga 2 chilometri con un'altezza  sul mare da 2 a 8 metri ed una larghezza da 40 a 60 metri.

Ed ora abbandoniamo la penisola e procediamo vero i monti.

Dapprima scendiamo in una vasta pianura ricoperta da una fine arena, che dal livello quasi del mare va leggermente salendo; e, dopo tre chilometri di cammino attraverso questo piccolo deserto, troviamo il forte ed il villaggio di Otumlo; poco più innanzi incontriamo il letto del torrente Uissa prima largo ed incerto, poi racchiuso da basse colline, gli ultimi contrafforti dei monti. Il terreno, che appare in questa zona, e di cui è formato tutto il sottosuolo anche della descritta pianura, è una marna argillosa forse del periodo eocenico spesso compatta e in alcuni punti attraversata da filoni di un'arenaria buona per costruzioni.

Risalendo la riva destra dell'Uissa dopo circa 2 chilometri da Otumlo si trova la Missione Svedese, un comodo fabbricato con annesso giardino posto sulla sinistra del torrente; e dopo altri due chilometri si arriva al forte di Monkullo (M'kullu) posto sopra un poggio alto circa dieci metri sull'Ulissa, di cui forma la riva destra, e quaranta sul mare.

A Monkullo le elevazioni del terreno si fanno più pronunciate e le valli scendono rinserrate fra i colli, Il largo letto dell'Uissa cessa e in esso vengono  a sboccare i due suoi principali affluenti l'Obel o Tata e l'Amashat notato spesso nelle carte col nome di Mpasi (i torrenti o chor non hanno nome proprio, ma prendono quello della regione che attraversano; perciò cambiano parecchi nomi nel loro percorso). Il terreno prende un aspetto a prima vista inesplicabile. I colli infatti formato dal solito terreno di schisti marnosi, sono interamente e uniformemente ricoperti fino alla cima dei ciottoli perfettamente arrotondati, per lo più di natura granitica, quindi provenienti dagli alti e lontani monti. La forma di quei ciottoli mostra che essi ivi furono portati da una corrente d'acqua, che fece loro percorrere una ragguardevole distanza.

Ma come tale corrente può essere salita fin su quelle cime?

La spiegazione probabile parmi  una sola. Bisogna supporre che in quel periodo geologico, che noi chiamiamo glaciale e che si manifesta in entrambi gli emisferi, il mare arrivasse ove ora è Monkullo, e che ove oggi sono i colli di cui parliamo fosse invece allora il letto di un grande torrente (forse l'attuale Desset) per il quale scendessero le piene prodotte dalle piogge o dallo squagliarsi delle nevi sulle alpi abissine. Più tardi l'azione vulcanica deve avere sollevato quelle colline che, mutando il corso della valle principale, avranno dato origine alle valli secondarie; mentre allora doveva a poco a poco emergere dall'acqua la pianura di Otumlo, che ancora oggi mostrasi impregnata di sale marino e racchiude fossili di animali tuttora viventi nel Mar Rosso.

Quanto all'azione vulcanica, colla quale abbiamo spiegato il rapido sollevarsi del terreno, non occorre andar molto lontano per vederla nei suoi più terribili effetti. Risalendo infatti la valle dell'Amashat non tarderemo a trovare correnti di lava che in taluni punti si vedono ricoprire il sottostrato di marna argillosa, in altri formare intere colline.

Dopo quattro chilometri di Monkullo, nel luogo che fu chiamato di Piano delle Scimmie, l'Amashat piega verso mezzogiorno d'onde trae la sua origine scendendo dai vicini colli. Noi risalendo una breve sella, abbandoneremo il suo bacino per scendere in quello del Takabat. Quivi separati da bassi contrafforti, si incontrano successivamente quattro torrenti che scorrono da sud-ovest a nord-est, e si riuniscono più basso formando il Uadi-Bò, che sbocca nel Mar Rosso poco più a nord dell'Uissa.

Attraversando un'altra sella e camminando sempre verso ponente per la strada che porta a Saati ed Ailet, si incontra l'Agbalo, un piccolo torrente che sbocca poco più in basso nel Desset, al quale si arriva in fine dopo aver valicato una ultima sella, nel luogo ov'era il villaggio di Dogali (Dahali).

Il terreno fra Monkullo e Dogali presenta l'aspetto di un labirinto di colline, di poggi, di rupi alternate da selle o partiacque di poca elevazione e racchiudenti valli e vallette, delle quali non è facile a primo aspetto il comprendere l'andamento. Nel sottosuolo pare continui sempre la formazione marnosa già descritta, ma le lave o trachiti ricoprono quasi dappertutto le elevazioni, e dove esse si arrestano vedonsi talora le argille quasi cotte per il calore, che doveva essere irradiato dalle vicine correnti ignee. La vegetazione si riduce a cespugli di acacie  e di euforbie con poche erbe; l'aspetto generale è triste e monotono, benché il qualche punto si presentino panorami pittoreschi.

Al Desset il paese si fa più verde e più ridente il rio, che scende dai monti Asaula presso il monte Bizen a 1600 metri sul mare ed ha un bacino scolante di forse 500 chilometri quadrati, è largo intorno ai 50 metri e, benché il suo letto, come quello degli altri già descritti, sia d'ordinario interamente asciutto, nondimeno la vegetazione, che cresce sulle sue rive, mostra che uno strato d'acqua perenne deve nascondersi entro le sue sabbie.

Lasciata sulla destra la collina sulla cui vetta  due croci si elevano triste ricordo del massacro dei nostri soldati, risaliamo la valle del Desset. La vallata è in generale ampia, e ai due lati del torrente trovansi piani ricoperti di verdura ed ombreggiati da alberi, fra cui primeggiano i tamarischi. Solo in qualche punto masse di lava si avanzano fino al letto del torrente, ove pare si siano arrestate con un'altezza di 15 a 20 metri; e altrove piccoli coni o rupi apparentemente staccati dai vicini colli si elevano in mezzo alla striscia di pianura.

L'andamento della valle forma, partendo dal Dogali, una S presentando prima una grande curva, la cui convessità è rivolta verso mezzogiorno-levante; poi una contro curva in senso opposto. Al termine di questa seconda curva, a 4 chilometri da Dogali sbocca sulla sinistra del Desset il rio Saati, che noi dobbiamo risalire per arrivare al termine della nostra linea.

Il rio di Saati scende dalla gola di Ailet a 13 chilometri dal suo sbocco nel Desset ed a 300 metri circa sul mare. Esso perciò ha un'importanza assai minore ed il suo letto, per lo più regolare, è largo solo 11 metri. La valle, che, come quella del Desset, ha piccolissima pendenza, presenta pure ai due lati del rio zone di terreni piani rivestiti di alberi di erbe e di fiori. Ma di tratto in tratto colate di lava sembra abbiano attraversato il letto del rio costringendo quest'ultimo a deviare bruscamente. In alcuni punti la lava sembra si sia arrestata sulla riva del torrente, poiché dalla parte opposta trovasi il terreno piano; in altri luoghi invece la lava trovasi ad entrambi i lati ed il rio dovette allora trovarsi un passaggio serpeggiando fra le rupi. Non pare però che che anche in quei punti una stessa corrente di lava sia passata al di là del rio, poiché ivi due rupi ricoperte di lava si ergono l'una contro all'altra lasciando in mezzo un passaggio più ampio della larghezza normale del rio stesso.

Cotesto arrestarsi di correnti di lava sulla riva del torrente, che vedesi in parecchi punti al Desset ed al rio di Saati, farebbe quasi supporre che, quando avvenivano le eruzioni, nel rio scorresse una copiosa corrente d'acqua capace di raffreddare la lava e così di arrestarla. E, come tali correnti d'acqua oggi non si verificano si verrebbe a concludere che le grandi eruzioni di lava dovettero coincidere appunto col periodo detto glaciale. In ogni modo però esse non dovrebbero essere cessate con quel periodo, poiché nello stesso rio di Saati osservai sopra un masso di antica lava uno strato di lava quasi spugnosa e certamente assai più recente. La nuova lava appare sbucata dalla stessa rupe, che riuscì a ricoprire solo in parte fermandosi anch'essa alla riva del rio.

Dopo avere percorso per quasi 3 chilometri il rio di Saati, si arriva ad un punto in cui il rio forma una cascata di oltre 20 metri di altezza. Alla destra un colle dai fianchi dirupati si eleva a 60 metri sopra il fondo della valle e su di esso è il forte ove nel gennaio 1887 il maggiore Boretti con 200 soldati sostenne l'attacco delle masse di Ras Alula. Il luogo dicesi Saati ossia i pozzi d'acqua, poiché al piede della cascata alcune buche scavate nel fondo del rio per uno o due metri di profondità fornivano l'acqua per abbeverare le carovane.

Al di sopra delle cascate il terreno ridiventa piano e di poco pendio e tale si mantiene fino ai colli che dividono il bacino del Desset da quello del rio di Ailet, il quale scendendo dall'altipiano abissino all'Asmara, sbocca nel Mar Rosso col nome di Vakiro.

Tale è il terreno ove dovevasi sviluppare la ferrovia di Massaua a Saati che il Governo aveva deciso di costruire per agevolare le operazioni militari contro gli Abissini.

Eravamo già agli ultimi di luglio quand'io ricevetti dal Ministero della guerra l'incarico di dirigere i lavori e provvedere a tutto quanto occorresse. I lavori sul terreno dovevano incominciare nei primi di ottobre e perciò non v'era tempo da perdere, dovendosi prima dare tutte le disposizioni necessarie e provvedere fin'anche alle cose più minute, poiché in quei paesi non potevasi sperare di trovar nulla.

Fu deciso di dare al binario la larghezza di m. 0,95 adottando il tipo di armamento delle complementari sarde. Perciò io ricorsi dapprima al Tardy e Beneck di Savona per la fornitura delle rotaie eguali a quelle già state ordinate per la Sardegna. Ma il Tardy non si vide poi in grado di fornirle nel tempo voluto; ed allora, stringendo il tempo, si dovette accettare un carico di rotaie provenienti da Swansea, ed il Tardy stesso si incaricò di farle spedire a Massaua direttamente. Frattanto prevedendo un ritardo nell'arrivo del vapore inglese, io feci caricare poche tonnellate di rotaie, che aveva pronte il Tardy ed altre ne comprai a Napoli, formando in tutto un centinaio di tonnellate.

Per il materiale mobile si dovette rinunciare a farlo costruire appositamente,come sarebbe stato mio desiderio, perchè fosse atto a passare su curve di piccolo raggio e nello stesso tempo adattato alle esigenze speciali di quel clima e di quel servizio. Dovremmo dunque accontentarci di prendere macchine e vagoni dove si trovarono. Così parecchi  carri ed una vettura di 1° classe vennero dal Belgio; una piccola locomotiva fu fatta ad  Esslingen, le vetture di 3° classe e miste ed alcuni carri di merce  furono fatti nelle officine di Castellammare sui disegni già adottati per le complementari sarde; le altre locomotive, che furono quattro, vennero da Henschel e figlio di Cassel prese fra quelle che dovevansi fornire per la Sardegna. Anzi una di tali locomotive e quattro carri per materiali furono, in seguito a mia richiesta, caricate a Cagliari sullo stesso vapore, che ci doveva portare a Massaua.

Frattanto, affine di poter avere qualche notizia precisa sulla natura del terreno e sulla quantità ed importanza delle opere che si sarebbero dovute fare avevo pregato un egregio giovane, l'ingegner Alfonso Pouchain di far tosto una corsa sul luogo per mandarmi telegraficamente quelle osservazioni e quegli apprezzamenti che credesse più importanti. Il Pouchain non potendo disporre di più di un mese di tempo, partì tosto per Massaua insieme al capitano del genio cav. Spaccamela. Nonostante il caldo ancora fortissimo del settembre, egli giunse fino a Saati, e segnò con picchetti il tracciato di un primo tratto di linea nella penisola di Abd el Kader, ove il generale Saletta, allora comandante superiore, aveva deciso dovesse stabilirsi la testa della ferrovia.

Il 15 settembre partimmo da Napoli col vapore Scrivia carico di tutto il materiale che vi si era potuto collocare e con quattro ingegneri, quattro assistenti, un capo meccanico, due macchinisti, un capo fabbro, un segretario contabile e 325 operai.

Il 28 sbarcammo a Massaua, e, mentre io mi recava al comando superiore per prendere i necessari concerti con il generale Saletta, gli operai dovettero ricoverarsi, alla meglio, in due baracconi trovati disoccupati dentro il recinto dell'arsenale marittimo di Abd el Kader, e dei quali uno gia destinato ad uso infermeria.

Il costruire baracche per gli operai era dunque il primo problema, che si presentava da risolvere; poiché col sole ancora caldissimo di quella stagione sarebbe stata cosa imprudentissima il far alloggiare gli operai sotto le tende, tanto più che un assistente ed un operaio già si erano sbarcati moribondi all'ospedale. Il comando superiore non aveva avuto il tempo e fors'anche nemmeno la possibilità di provvedere agli alloggi degli operai come a tant'altre cose. La risoluzione di costruire la ferrovia era arrivata laggiù inaspettata, ne era facile pensare a tutto ciò che occorresse.

D'atra parte la autorità militare era rimasta quasi straniera a cotesto lavoro per essere stato io incaricato direttamente dal Ministero di provvedere a tutto. Infine i soldati allora disponibili erano pochi , in gran parte infiacchiti per il caldo sofferto nella stagione estiva, e per giunta gia occupati per compiere i lavori in corso tanto più necessari in vista  del prossimo arrivo di nuove truppe.

La più grossa difficoltà da superare però non fu quella degli alloggi, che si poterono presto provvedere con capannoni di travicelli e stuoie; ma bensì quello di portare a terra i materiali arrivati e quelli che sarebbero venuti in seguito.

La sola banchina d'approdo disponibile ad Abd el Kadir era un pontile di legno, in faccia all'arsenale, lungo circa cento metri e largo tre, le cui colonne infracidite e per più di metà consumate dagli animali marini copiosissimi in quelle acque, non ispiravano troppa fiducia per il trasporto di grassi pesi. Al pontile possono approdare i vaporetti rimorchiatori ed i barconi piatti detti sandali, e su di esso è collocato un binario Decauville, in comunicazione con tutta la rete, che arrivava allora fino a Monkullo.

Ma quanto al trasportare i pesi dai barconi al pontile non v'era altro mezzo fuorché le braccia, poiché le sole grue esistenti erano collocate sulle banchine della penisola di Gherar.

Sul pontile poi, oltre ai materiali per la ferrovia, dovevansi scaricare le derrate ed i foraggi del commissariato militare, materiali per l'artiglieria, per il genio, per la marina; ed i carrelli che dovevano servire per il trasporto per i materiali stessi sul binario Decauville , erano scarsissimi perchè impiegati in parte alla penisola di Gherar, in parte per la costruzione del molo in muratura di Abd el Kader, che doveva servire per l'approdo delle navi e su cui dovranno arrivare i binari della ferrovia.

Lo scarico dei materiali fu una delle operazioni che ci arrecarono più noie, e per gli scarsi mezzi dei quali potevamo disporre, e per la qualità dei materiali da scaricarsi ed il peso di taluni di essi, ed infine per la confusione colla quale arrivavano i materiali stessi, che si scaricavano da bordo insieme ai materiali destinati ai comandi locali militari, e spesso si mandavano al comando locale del genio al Gherar, d'onde dovevano poi andarli a rintracciare con non piccola fatica e perditempo. 

Allo scarico dei materiali rimase impiegata per circa quattro mesi una squadra di venti dei nostri migliori operai oltre ad una quantità di neri, che variò da venti a cento uomini. Questi ultimi servivano discretamente per lo scarico di materiali leggeri, supplendo col numero alla poca forza e alla poca perizia di ciascuno. Per portare poi a terra le locomotive e i vagoni ed altri materiali pesanti, feci costruire con cataste di traversine e rotaie un piano inclinato che dal largo dell'arsenale scendeva in mare fin dove a marea alta fosse fondo sufficiente per portarvi i barconi col carico; ed alla sommità del piano inclinato feci collocare un grasso argano prestatomi  dal comando locale della R. marina.

Mentre si sbarcavano i materiali e gli attrezzi più necessari si incominciavano i lavori della sottostruttura seguendo dapprincipio il tracciato gia segnato sul terreno dall' ingegnere Pouchain. La penisola, benché si possa definire piana, presenta tuttavia parecchie differenze di rilievo che non si potevano interamente assecondare senza rendere il profilo della linea troppo tormentato. Fu però necessario diminuire i tagli il più possibile, poiché la pietra madreporica, ond'è formato il suolo, era durissima e su di essa hanno pochissima azione le mine, tanto più se fatte colla polvere, come mi dovevano fare per mancanza di dinamite.

Alla metà di ottobre gia un piccolo tratto di binario era collocato e la prima locomotiva cominciava a percorrerlo con due carri; prima della fine del mese l'intera penisola fino al forte era percorsa dal treno. Al forte di Abd el Kader la ferrovia abbandona lo scoglio madreporico e, attraversato un basso fondo ricoperto d'acqua nelle alte maree, viene a trovare la pianura di Otumlo.

L'attraversamento di questa pianura era stata una delle mie maggiori preoccupazioni prima di partire da Roma; poiché mi figurava poco meno del leggendario deserto colle arene mobilissime or qua or là dal terribile Kamsin. Ma, all'atto pratico trovai, che la pianura di Otumlo è niente più che un fondo marino di recente sollevazione, coperta, è vero, di rena la quale quando spira il vento è portata in alto; ma che riposa sopra un fondo marnoso, quindi saldissimo.

Solo per evitare che la ferrovia venisse invasa dall'arena o danneggiata dall'acqua durante i temporali, credetti opportuno mantenere la piattaforma elevata di quasi un metro in media sul piano rivestendo pure le scarpe del rilevato con pietre a secco, che si estraevano da una cava fatta presso il forte di Abd el Kader.

Una difficoltà invece v'era effettivamente da superare per la provvista del ballast, che, secondo le buone regole dell'arte, è necessario per sostenere e tenere in sesto il binario. Un po' di brecciame si era incominciato a preparare rompendo le pietre madreporiche di Abd el Kader; ma l'operazione procedeva troppo lentamente e d'altra parte quel materiale non parevami di ottima qualità. Io pensai allora di far collocare il binario direttamente sull'arena riservandomi più tardi il trasportarvi la ghiaia una volta che la ferrovia fosse arrivata fra i colli.

Si arrivò così fino ad Otumlo, poi al letto dell'Uissa, lungo la quale conveniva sviluppare la linea serpeggiando al piede dei colli, che formano la destra della valle. Ma qui si presentava un altro problema da risolversi ben più importante di quello delle arene di Otumlo. Il letto sabbioso dell'Uissa larghissimo e quasi  senza limiti distinti ben dimostrava che la corrente nelle piene doveva vagare incerta portandosi ora verso una riva, ora verso l'altra.

Ma quanta poteva essere la quantità d'acqua portata dalle massime piene ? Le indicazioni che davano coloro che stavano da qualche tempo in quei paesi erano più che mai discordi. Chi ci raccontava della furia a noi ignota di quei temporali tropicali e delle dirotte piogge della stagione invernale e descriveva l'Uissa come un torrente impetuoso e terribile. Altri invece sorrideva a simili racconti.

A risolvere la questione venne il temporale della notte del 20 novembre (1887) seguito da altri nei giorni successivi. Il temporale del 20 accompagnato da vento impetuosissimo poteva dirsi fra i maggiori. I capannoni di legname e stuoie, che s'erano fatti per ricoverare gli operai furono letteralmente portati per aria lasciando gli operai e le loro robe interamente sotto la pioggia; correnti d'acqua si formarono da ogni parte; nell'Uissa fu notato fino ad un metro d'acqua e dalle vallette formate dai colli scesero veri torrenti che travolsero e seppellirono una quantità di attrezzi lasciati la sera dagli operai. Il terrapieno della ferrovia, appena  allora formato colla sabbia del torrente, fu distrutto in più punti per una lunghezza complessiva di un chilometro.

Compresi allora la necessità anzitutto di dare pronto sfogo alle acque scendenti dai colli costruendo una serie di ponticelli di 3 e 4 metri di luce. Ma, come urgeva non lasciare a lungo il servizio dell'armamento, ne v'erano pronti materiali per costruire subito ponti in muratura, pensai per il momento di fare colle traverse metalliche dell'armamento stesso alcune cataste, sulle quali si posero da dieci a dodici rotaie in modo da formare un piano, e su quest'ultimo s'appoggiò il binario.

In tal modo la locomotiva, passando su questi ponti mal fermi poté dopo pochi giorni arrivare a Monkullo, mentre presso le cataste di traverse si costruivano a poco a poco le spalle di muratura, sulle quali si appoggiarono poi le rotaie formanti già il piano di sostegno dell'armamento. Quanto a proteggere il terrapieno non ancora rivestito dalla corrente dell'Uissa, pensai di far costruire una serie di pennelli, alcuni ortogonali, altri obliqui come meglio riusciva; e, come questi eran fatti di sabbia e le pietre mancavano, feci collocare al piede loro una quantità di sacchi di terra che il Comando Superiore fu sollecito di mettere a nostra disposizione.

Restava ora a pensare all'attraversamento dei due torrenti che formano l'Uissa, il quale avviene poco oltre Monkullo. Cessata l'apprensione prodotta dai primi temporali, ed, esaminando con maggiore pacatezza gli effetti delle piogge sulle piene dei torrenti trovai che le correnti d'acqua formate repentinamente nelle vallette dei primi colli ed anche nella pianura di Otumlo a fondo argilloso e quindi impermeabile, sono, in proporzione del loro bacino, effettivamente enormi; ma che lo stesso non è nei torrenti propriamente detti e tanto meno da quelli che vengono da più lontano.

Nell'Uissa al di sotto di Monkullo fu osservata nella notte del 20 novembre un'altezza d'acqua di 1 metro. Ma qui il torrente riceve direttamente tutta le acque colanti dalle colline argillose; e d'altra parte l'altezza suddetta fu osservata dove la corrente si era gettata contro la riva destra scavando al piede della medesima. E' difficile quindi dedurre quanta avrà potuto essere la sezione viva dell'acqua e quale la velocità media; ma io credo potere asserire, senza andare troppo lontano dal vero, che la quantità di acqua scorrente nell'Uissa alla Missione Svedese nella notte del 20 novembre fosse intorno ai 60 metri cubi per secondo. Ora il bacino scolante in questo punto si può calcolare fra i 30 e i 40 chilometri quadrati; dunque la portata per chilometro quadrato di bacino sarebbe stata intorno ai 2 metri cubi per secondo, cioè circa eguale a quella della Nervia presso Nizza (m.c.1,79), della Polcevera (m.c. 1,81), e della maggior parte dei torrenti della costa ligure.

Che se poi esaminiamo le tracce della piena nei tronchi superiori e soprattutto del Desset, che ha un bacino scolante assai esteso, troviamo che la proporzione fra il volume d'acqua e il bacino è assai minore. Il letto del Desset a Dogali è regolarissimo, e, come le rive sono ricoperte di erba, così le traccie di una piena restano facilmente riconoscibili. Ora dalle osservazioni fatte risulta che la massima altezza di acqua sul fondo deve essere stata di 1 metro e ala sezione media della corrente viva circa mq. 40. Quanto alla velocità media, se la deduciamo dalle formole di Ganguillet e Kutter notando che la pendenza del rio è del 6 per mille ed il fondo di ghiaia, essa risulterebbe di m. 2,46; quindi la portata massima sarebbe di mc. 98,4.

Tale portata mi pare debba essere piuttosto maggiore del vero che minore, poiché se la velocità media fosse stata effettivamente di m. 2,46 a secondo, la corrente avrebbe dovuto intaccare profondamente il fondo, mentre ciò non appariva. Comunque sia, ammesso il bacino del rio prossimo a 500 chilometri quadrati, si avrebbe il rapporto della portata al bacino di 0,20, cioè al di sotto assai di quello che si ha in tutti i nostri torrenti. Di questo fatto le ragioni mi sembrano due: l'una che nei monti lontani dal mare i temporali della costa non si estendono con eguale forza; l'altra che gran parte dell'acqua portata nel rio viene assorbita dal fondo del medesimo; il che viene confermato dal fatto che colle pioggie ordinarie anche continuate per notti intere, non si vide mai nel Desset traccia d'acqua.

Del resto lo scavo di un pozzo fatto presso Dogali nel fondo del rio ha dimostrato che fino a 10 metri di profondità si incontrano solo ghiaie ed a 10 metri si trovò acqua. Tale considerazione mi sembra di grande importanza, poiché da essa risulterebbe che nel Desset devesi trovare acqua migliore e più abbondante che nel rio di Saati e nell'Amashat e nell'Obel, ove i pozzi d'acqua sono generalmente noti solo perchè lo strato di sabbia del rio è alto uno o due metri e perciò l'acqua viene scoperta senza molto lavoro. Basandomi sulle considerazioni sopra indicate fissai la luce dei due ponti sull'Obel e sull'Amashat a 15 metri per ciascuno. Intendeva impiegarvi le travi metalliche, che erano state ordinate all'impresa industriale italiana di costruzioni metalliche a Napoli e spedite col vapore Palestina; senonchè il Palestina appena arrivato a Massaua aveva dovuto fare i viaggi postali da Massaua ad Aden, e le travi dei ponti non si erano potute sbarcare.

Dovetti allora far costruire fra gli spalloni di ciascuno dei due ponti due pile dividendo così la luce in tre in modo da potervi collocare sopra il solito piano di rotaie in luogo delle travi. Il tratto di ferrovia fra Otumlo e i ponti di Monkullo fu fra i più difficili, sia per la quantità di opere speciali che si dovettero fare, sia perchè le frequenti pioggie venivano a danneggiare i lavori in corso per la costruzione dei ponticelli, scomponendo le cataste di traversine che servivano di appoggio provvisorio del binario. Dopo Monkullo la linea risalendo la valle dell'Amashat incomincia a trovare un terreno più compatto con abbondanza di ghiaia. Non vi era dunque più ragione di temere i guasti che erano avvenuti prima di Monkullo; ciononostante si abbondò nel numero dei ponticelli per lo scolo delle acque dei terreni a monte, e, per non ritardare troppo i lavori, si continuò a farli con piani o fasci di rotaie appoggiate a spalle di muro, dando loro una luce di tre metri.

Al Piano delle Scimmie la linea attraversa due volte il torrente Amashat, affine di evitare un lungo giro del rio. Il primo ponte venne fatto di due luci di m. 7,50 ciascuna, con due delle travate di ferro della impresa industriale. Per il secondo ponte credei sufficiente una sola travata di m. 7,50 di luce per essere il rio incassato fra scogli di lava; e pure di una sola travata furono fatti i ponti sugli affluenti dell'Uadi-Bo. Solo per uno di essi che parve aver portato più acqua, si impiegò una travata di 15 metri di luce a reticolato formato con elementi secondo il sistema politetragonale del Cottrau. A Dogali la linea, girando al piede del colle, d'onde Ras Alula stette spiando il passaggio dei nostri e dove ora è piantato un forte Spaccamela, arriva al letto del Desset precisamente ove una corrente di lava pare che siasi arrestata alla sponda del rio formando un dirupo di 16 metri d'altezza.

La ferrovia passa rasentando la roccia sopra un argine posato sul letto del rio, la cui scarpa, inclinata in ragione di 2 metri di base per 1 di altezza, è difesa da un muro a secco. Più avanti la linea si sviluppa sui piani della riva destra del Desset dove trovasi lo sbocco del rio di Saati. Un ponte sul Desset fu fatto con tre travate di m. 7,50 di luce ciascuna, quindi con una luce netta complessiva di m. 22,50. Con tale luce, ammesso che il rio potesse raggiungere la portata di mc. 98,4 sopra calcolata colla velocità media di m. 2,46, l'altezza d'acqua sotto il ponte dovrebbe risultare di m. 1,78. Attraversato il Desset la ferrovia costeggia prima la destra del rio Saati, poi l'attraversa passando alla sinistra con un ponte formato da una travata di ferro di m. 7,50 di luce; poi si svolge per un tratto fra poggi di lava occupando in parte il letto del rio stesso, cui fu lasciato un passaggio lungo il terrapieno difeso da un rivestimento di pietre, come già si fece per il Desset.

La linea ritorna in seguito un'altra volta sulla destra passando il rio con un ponte sempre formato da una travata di m. 7,50; ed ivi trova un piano, ove furono collocati i magazzini del commissariato militare al piede del poggio detto del Comando. Proseguendo ancora, ripassa un'ultima volto il rio ed arriva presso la cascata ed il forte, ove trovasi la stazione che per ora dà termine alla ferrovia.

La linea è lunga in tutto m. 26885 ed ha 57 curve, tre delle quali hanno un raggio di 100 metri, le altri raggi superiori ai 120. La piattaforma normale in rilevato è larga m. 3,50, il binario m. 0,95 fra le rotaie, le quali sono d'acciaio e pesano da 21 a 22 chilogrammi il metro. Le traverse sono di legno per i primi 5 chilometri, poi sono d'acciaio essendo così l'armamento interamente metallico. Il profilo è composto di molte livellette in salita e discesa: la più grande pendenza è del 23 per mille nella direzione di Saati presso la stazione dell' Amashat;  la stazione di Saaati, che è il punto più alto della linea, è a m. 140,30 sul mare. Le opere d'arte sono in tutto 85, fra le quali hanno qualche importanza il ponte sul Desset, quelli sull'Obel, sull'Amashat, sugli affluenti dell'Uadi-Bo e sul rio Saati. Le altre sono ponticelli, la cui luce varia da 0,60 a 4 metri.

Le fermate stabilite, partendo dalla marina, sono nove, non compresa quella della stazione principale e sono denominate: Abd el Kader forte, Otumlo, Missione Svedese, Monkullo, Piano delle Scimmie, Amashat, Dogali, Poggio Comando, Saati. Nelle stazioni di Monkullo, Amashat e Dogali trovasi il raddoppiamento del binario ed un binario morto ed inoltre un baraccone di legname di m. 12,50 per 7,50 coperto di tegole e con pavimento di piastrelle di cemento, il quale serve per l'alloggio del personale. A Saati si hanno due baracconi coi binari necessari per le manovre. Nelle altre fermate, che furono stabilite piuttosto per il servizio momentaneo degli accampamenti, si trova solo un binario morto. Quanto alla stazione principale trovansi in essa un deposito per tre locomotive, un'officina per piccole riparazioni, un magazzino ed infine un casino composto di tre camere con veranda in giro, fatto di mattoni con tetto, soffitto e pavimento per l'abitazione e l'ufficio del direttore dell'esercizio.

Per il rifornimento dell'acqua verrà collocato un serbatoio circolare di 12 mc. davanti all'arsenale, ove mette capo un tubo che si pone in comunicazione col vaporetto cisterna, il quale viene ad amarrarsi al pontile di legno già descritto. Un altro serbatoio rettangolare di 15 mc. verrà impiantato a Saati ove potrà essere riempito coll'acqua dei pozzi, se pur questa, che è alquanto salmastra, non si troverà all'atto pratico disadatta per le caldaie. Infine un'altro serbatoio si collocò all' Amashat, dove le locomotive, che rimorchiano treni pesanti nell'ascesa, hanno spasso bisogno di riprendere acqua. Il serbatoio dell'Amashat deve essere però alimentato coll'acqua distillata trasportata collo stesso treno dall'arsenale.

Il materiale mobile acquistato consta di 4 locomotive tender pesanti 22 tonnellate ciascuna, capaci di rimorchiare 80 tonnellate di treno, e di correre colla velocità massima di 40 chilometri l'ora; più di una piccola locomotiva, che serve per le manovre e pei piccoli trasporti. Si hanno inoltre 12 vetture di 3° classe, 2 miste, 1 di 1° a giardiniera simile a quella delle tramvie, e 40 carri per merci. Le macchine per l'officina di riparazioni comprendono una motrice a vapore, una piallatrice, una perforatrice, un torno parallelo, un paio di morse, una fucina con ventilatore ed una piccola ruota Emery. I lavori furono fatti in economia; dagli operai però e agli assistenti era concesso l'assumere cottimi parziali colla condizione che si potesse interrompere il contratto quando piacesse alla direzione dei lavori.

Durante il cottimo i cottimisti non ricevevano lo stipendio o paga, ma bensì la razione giornaliera di viveri da soldato, che era accordata indistintamente a tutti gli impiegati. La paga ordinaria dell'operaio terraiolo era di lire 5 il giorno, e di 7 a 8 lire era quella degli operai di maggiore abilità, come minatori, muratori, armatori. La paga era corrisposta loro anche durante i viaggi di andata e ritorno, eccettoché quando fossero rimandati per cattiva condotta o partissero per loro capriccio. Gli ammalati erano curati gratuitamente dai medici militari in un'apposita infermeria, ed era loro accordata circa metà paga. I lavori propriamente di costruzione durarono cinque mesi, cioè dalla metà di ottobre (1887) al 15 marzo (1888), in cui si collocò l'ultima rotaia a Saati.

Appena però che l'armamento fu arrivato a Monkullo si incominciò a fare un servizio di treni per trasporti militari, e ben presto tale servizio divenne di così ragguardevole importanza da esigere sei treni giornalieri di andata e ritorno con un trasporto di duecento tonnellate di carico ed altrettante persone. Perciò parecchi lavori di finimento vennero ritardati o resi difficili: la ghiaia nel tratto del del forte di Abd el Kader a Monkullo non si potè più portare: parecchi rivestimenti di scarpate si sospesero per mancanza di pietre e per correggere l'armamento in alcune curve al Piano delle Scimmie, ch'eransi deformate, si dovette far manovrare gli operai fra la mezzanotte e le quattro del mattino, le sole ore, nelle quali la linea restava libera. Ciononostante la ferrovia trovasi ora, se non interamente nel suo assetto definitivo, per lo meno tale da poter prestare un regolare servizio.

La somma spesa per le costruzioni fu di circa due milioni e mezzo di lire. Ma aggiungendovi le spese accessorie, e quelle della quota del nolo dei vapori che dovrebbe corrispondere ai materiali trasportati a Massaua per la ferrovia, si arriverà ai tre milioni o forse si supereranno di poco. Se dunque teniamo conto delle condizioni eccezionali nelle quali fu fatto il lavoro, del prezzo elevato delle giornate, dell'essersi dovuto rinnovare quattro voltegli operai pagando loro le giornate durante il tempo dei viaggi, può ben dirsi che la spesa sia stata moderata. Ed ora che la ferrovia, comunque breve, è un fatto compiuto è giusto far si che essa non rimanga un inattivo strumento di guerra. Molti hanno biasimato la linea seguita dando per ragione che le carovane più ricche vengono dal nord-ovest passando per Keren e il paese degli Habab, mentre l'Abissinia nemica nostra non produce nel suo territorio montuoso gran copia di prodotti da esportare.

Ma anzitutto L'Abissinia non ha altro sbocco diretto al mare fuorché Massaua, e dovrà perciò accordarsi necessariamente colla Potenza, che avrà nelle sue mani quel porto. E, se ora il pittoresco suolo dell'altopiano abissino è trascurabile da una popolazione quasi interamente composta di soldati e di preti, può essere che col tempo esso si possa meglio coltivare. Ma se poi si troverà conveniente seguire la via degli Habab e di Keren, la ferrovia costruita potrà servire egualmente fino a Dogali scendendo poi per il Desset e portandosi nella valle del Vakiro o del Lebka. Che le carovane non seguano questa via, ma preferiscano percorrere i piani presso la spiaggia del mare, ciò non vuol dire che ad una ferrovia convenga la stessa linea; perchè, se a carovane composte di cammelli conviene andare per i piani di sabbia, ad una ferrovia è necessario trovare terreno saldo ed evitare l'attraversamento di torrenti a letto vagante, come sono quelli presso la foce.

Da Saati poi la ferrovia potrebb'essere prolungata senza opere straordinarie fino ad Ailet nella fertile valle del Demas, e, se ci sarà possibile l'occupare un luogo sull'altopiano, la ferrovia vi potrà del pari arrivare senza spese sproporzionate facendo uso dei sistemi a dentiera, che oramai permettono senza alcun inconveniente di superare pendenze anche del venti per cento. Così la ferrovia potrebbe divenire utile al commercio e apportatrice di civiltà; e così l'Italia inoltrandosi in quelle lontane regioni potrebbe avere una missione benefica mostrando a quelle popolazioni ignoranti, ma non prive di buon senso, che esso non è fatta di gente invadente e rapace come pur troppo gli Europei si sono spesso mostrati alle genti dette barbare.

Io vorrei che pur ricavando un giusto vantaggio dai commerci e dai prodotti, che si potrebbero trarre da terre ora quasi abbandonate, l'Italia portasse in quei paesi la civiltà, non collo sprezzo e col bastone, ne imponendo la tirannia del dogma e l'ipocrisia del sentimento, ma colla libera educazione e il reciproco rispetto, e che così potesse essere di nuovo alla testa dell'umana civiltà.

Roma, aprile 1888    

                                                            Ing. Emilio OLIVIERI