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Normanni

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I normanni o vikinghi o varjaghi intorno al Mille erano già cristianizzati. Nella penisola scandinava si era scelto il cristianesimo proprio per superare la frammentazione clanico-tribale di religione pagana. Si era usato il cristianesimo da un punto di vista soprattutto politico, come forma di centralizzazione dello Stato feudale, guidato da re e nobili guerrieri intenzionati a sfruttare la massa dei contadini, che fino a quel momento aveva fruito di ampie libertà.
Come altre popolazioni barbariche, essi, condizionati dal diffondersi del sistema economico schiavistico, si erano visti costretti a trasformare le proprie antiche e comuni libertà gentilizie in una forma di privilegio per pochi guerrieri, capaci di conquistarsi con la forza una proprietà privata.
La loro trasformazione da tribù libera a tribù feudale, saltando la fase dello schiavismo, li portò ad affrontare, senza gli strumenti adeguati, contraddizioni antagonistiche per loro del tutto nuove, quelle appunto dei rapporti basati sul servaggio.
Le contraddizioni del feudalesimo spinsero molti guerrieri normanni a intraprendere lunghe migrazioni per tutto il Baltico, il Mare del Nord, l’Atlantico e persino il Mediterraneo. Poiché provenivano da paesi prevalentemente marittimi si trattò di peregrinazioni su navi, costruite con tecniche molto avanzate per quei tempi, usate allo scopo di fare bottino e prigionieri.
Le conquiste più significative dei normanni coinvolsero tre paesi: Francia, Inghilterra e Italia meridionale. L’incredibile capacità che avevano era quella di risalire facilmente con le loro navi le correnti dei fiumi: in Francia, p.es., grazie alla Senna, riuscirono ad assediare Parigi per dieci mesi; non la conquistarono, ma ottennero un territorio molto vasto, chiamato poi Normandia, ove si fusero subito con la popolazione locale.
In Europa orientale venivano chiamati varjaghi, e qui con le loro scorrerie riuscirono a creare una via fluviale commerciale che praticamente congiungeva la Scandinavia con l’impero bizantino.

Ovunque la loro fusione con le popolazioni locali fu straordinariamente rapida (Finlandia, Estonia, Islanda, Groenlandia…). Infatti, non avendo una cultura avanzata da imporre, né alcuna intenzione di tornare in Scandinavia, e ben sapendo di non avere forze sufficienti per resistere ad attacchi prolungati, i normanni erano disposti a scendere a compromessi molto facilmente, guardandosi bene dal favorire questa o quella cultura in maniera decisiva, a meno che circostanze a loro favorevoli non lo richiedessero esplicitamente.
Essendo tuttavia degli avventurieri sradicati dai loro territori d’origine, affamati anzitutto di terre, avevano necessità d’imporre, soprattutto nella fase iniziale della loro conquista, un’evidente egemonia politico-istituzionale.
Solo in due paesi non riuscirono a integrarsi come avrebbero voluto, proprio perché qui incontrarono una cultura troppo superiore alla loro, non disposta ad accettare il loro autoritarismo politico: la Russia (che li fermò nel 1240) e l’Italia meridionale.
E, più in generale, essi, nei territori conquistati, dovettero affrontare un fenomeno non meno importante di quello culturale: infatti, mentre nei paesi scandinavi la centralizzazione dei poteri poté avvenire in maniera relativamente pacifica, in quanto incontrava solo la resistenza contadina al servaggio, negli altri paesi invece i normanni dovettero superare anche il frazionamento feudale dei grandi proprietari terrieri.
Quando in Italia iniziarono ad occupare la Sicilia, in Inghilterra si apprestavano ad abbattere, nella famosa battaglia di Hastings (1066), il dominio anglosassone.
E proprio in Inghilterra essi inaugurarono una centralizzazione del potere monarchico e una contestuale burocratizzazione dell’apparato amministrativo (si pensi solo alla gestione del catasto di tutte le terre), che inizialmente trovò un qualche riscontro solo nel Mezzogiorno italiano.
Solo successivamente, proprio grazie ai normanni, l’Europa occidentale potrà realizzare le forme feudali più accentrate, che inevitabilmente andranno a influire sulla nascita degli Stati assolutistici.

I Primi Normanni in Italia

I primi normanni apparvero in Puglia nel 1016 (Bari fu espugnata nel 1071) e in Calabria nel 1046; nel 1061 iniziarono la conquista della Sicilia araba, che si protrasse per 30 anni all’insegna della lotta agli infedeli.
Verso la fine dell’XI sec. tutto il meridione fu conquistato, con l’eccezione di Benevento, che divenne vassalla del papa, e di Napoli, che resterà indipendente dai normanni fino al 1140.
La nascita del regno di Sicilia è da ricondurre ad una vicenda che vide coinvolti, nel 1130, da un lato papa Innocenzo II e il suo antipapa Anacleto II, entrambi successori di Onorio II, dall'altro Ruggero II d'Altavilla, conte di Sicilia, duca di Calabria e Puglia fin dal 1128 per mano dello stesso Onorio II.
Nel 1130 moriva papa Onorio II e, immediatamente, all'interno del collegio cardinalizio, si riaccese la lotta per la successione tra le stesse due fazioni che già si erano scontrate, pochi anni prima (1124), in occasione dell'elezione di Onorio II.
I sedici porporati facenti capo alla famiglia dei Frangipane, guidati dal Cardinal Aimerico, elessero papa Innocenzo II. Gli altri quattordici porporati, facenti capo alla famiglia dei Pierleoni, elessero papa Anacleto II. Poco tempo dopo Anacleto II riuscì a far convergere su di sé il gradimento anche di alcuni cardinali che avevano eletto Innocenzo II, raccogliendo in tal modo la maggioranza dei voti del Collegio e accreditandosi, di conseguenza, come legittimo pontefice.
Poiché Innocenzo II non intendeva rinunciare alla tiara, si aprì uno vero e proprio scisma all'interno della chiesa di Roma, che finì per coinvolgere soprattutto elementi non ecclesiastici, ovvero alcuni grandi Stati d'Europa, come l'Inghilterra, la Francia e la Germania che, unitamente a gran parte dell'Italia, appoggiavano Innocenzo II.
Papa Anacleto II, bersagliato anche per le sue origini ebraiche e completamente isolato, chiese l'appoggio dei Normanni del duca Ruggero II, al quale offrì, in cambio, la corona regia.
Il duca non si lasciò sfuggire l'occasione e concluse, nel settembre 1130, una vera e propria alleanza militare con il papa, in seguito alla quale questi emise una bolla che consacrava il conte di Sicilia, nonché duca di Calabria e di Puglia, Rex Siciliae. Dopo di che, nella notte di Natale del medesimo anno, riprendendo un cerimoniale già visto nel lontano anno 800 in occasione dell'incoronazione di Carlo Magno, fu incoronato a Palermo come Ruggero I, re di Sicilia, Puglia e Calabria.
Il regno di Sicilia nasceva, quindi, nella notte di Natale del 1130 per mano di un antipapa, Anacleto II e veniva affidato nelle mani del figlio di colui che aveva liberato la Sicilia dalla dominazione araba (Ruggero I d'Altavilla). Il regno di Sicilia nasceva all'insegna della dinastia normanna degli Altavilla e comprendeva non soltanto l'isola cosiddetta di Trinacria, ma anche le terre di Calabria e Puglia.

Innocenzo II, però, ritenendosi legittimo pontefice, promulgò la scomunica nei confronti di Anacleto II e dichiarò nulli tutti i suoi atti. In una serie di concili successivi, Reims (1131), Piacenza (1132), Pisa (1135) fu riconosciuto come legittimo pontefice da Inghilterra, Spagna, Francia, Lombardia, Milano, Germania. Ebbe anche a incoronare imperatore, nel 1133, in San Giovanni in Laterano, Lotario di Supplinburger.
Ormai Anacleto II poteva contare soltanto sull'appoggio della città di Roma, dell'Italia meridionale e dei Normanni. Poiché lo scisma tra i due pontefici appariva insanabile, fu giocoforza il ricorso alle armi, soprattutto perché l'imperatore Lotario veniva sollecitato in tal senso dai continui interventi di Bernardo di Chiaravalle, nemico accesissimo di Anacleto II.
Con la discesa in Italia di Lotario, ebbe inizio una lunga guerra tra l'impero e i normanni che vide Ruggero perdere progressivamente i territori dell'Italia peninsulare. Ripartito Lotario nell'ottobre del 1137, Ruggero riconquistò Salerno, Avellino, Benevento e Capua. Anche Napoli, dopo un anno di assedio, fu costretta a capitolare nel 1137 e proprio in seguito alla ripartenza di Lotario.
Nel dicembre del 1137 moriva l'imperatore Lotario e qualche mese dopo, il 25 gennaio del 1138, moriva anche l'antipapa Anacleto II. La famiglia dei Pierleoni elesse un nuovo antipapa, Vittore IV, ma l'immediata rinuncia di questi, soprattutto dietro sollecitazione di Bernardo di Chiaravalle, diede il via libera alla piena legittimazione di Innocenzo II, che ebbe il riconoscimento, nel 1138, anche da parte dei cardinali fedeli alla famiglia dei Pierleoni. Aveva termine, così, lo scisma all'interno della chiesa di Roma.
Nei primi mesi del 1139 ebbe luogo il concilio Lateranense che confermò l'illegittimità di Anacleto II e la nullità di tutti i suoi atti. Il concilio ebbe a ribadire, ancora, la scomunica nei confronti dell'antipapa e di Ruggero II, contro cui mosse militarmente lo stesso pontefice, uscendone però sconfitto. Anzi Ruggero lo fece addirittura prigioniero, presso Montecassino, sicché papa Innocenzo, preso atto di non poter reggere il confronto con un nemico troppo forte sul piano militare, dovette confermargli la corona regia. Nel 1139, nei pressi di Mignano, fu redatto il privilegio mediante il quale si confermava l'elevatio in regem
, unitamente all'annessione del territorio di Capua.
Il territorio costituente il regno di Sicilia comprendeva, ora, non soltanto l'isola omonima, la Calabria e la Puglia, ma tutta l'Italia meridionale peninsulare fino a Gaeta.
Caratteristiche Del Dominio Normanno
Il vero motivo per cui i normanni giunsero in Italia fu il fatto che buona parte dell'aristocrazia meridionale, laica e soprattutto ecclesiastica, non amava la presenza bizantina nel Mediterraneo, sulle coste del Mezzogiorno (Puglia e Calabria) e soprattutto in Sicilia; infatti, proprio a motivo dei traffici commerciali con l'oriente, questi territori erano diventati economicamente avanzati e quindi poco disposti a lasciarsi dominare da un entroterra caratterizzato da rapporti prevalentemente agrari, in cui la tendenza era quella di sottomettere il più possibile la forza-lavoro, ovvero di trasformare gli agricoltori da liberi a dipendenti.
La chiesa, confidando nell'intervento armato di varie schiere di avidi cavalieri, provenienti dal ducato francese di Normandia, aveva pensato, illudendosi, di poterli facilmente controllare una volta raggiunto l'obiettivo di smantellare l'influenza culturale e commerciale bizantina dal Mezzogiorno.
In realtà i normanni si muovevano in maniera del tutto autonoma e con intenzioni bellicose e autoritarie. Quando nel 1127 uno di loro, Ruggero II (1130-54), unificò sotto la sua corona tutto il Mezzogiorno e la Sicilia, con l’investitura da parte di papa Anacleto II, quest'ultimo, in cambio, era soltanto riuscito a ottenere il distacco delle chiese ortodosse meridionali dalla giurisdizione di Costantinopoli.
I normanni avevano scelto Palermo come capitale del loro regno per una serie di ragioni: era la città più cosmopolita, che permetteva loro di ostacolare le mire politico-integralistiche del papato e di favorire la tolleranza religiosa; sul piano economico era una delle più ricche di tutto il Mezzogiorno e persino dell’intera penisola, collocata peraltro in un’isola commercialmente strategica come posizione geografica.
Tuttavia la conquista normanna accelerò lo sviluppo dei rapporti feudali e l’assoggettamento dei contadini liberi. I sovrani non poterono, di punto in bianco, imporre un’unica cultura o religione in un territorio per definizione pluralista (persino nelle lingue che si parlavano), però fecero di tutto per imporre politicamente il loro Stato centralista, il cui perno fondamentale era la dipendenza personale dell’inferiore al superiore. I normanni insomma volevano trasferire sul piano politico il loro stile di vita militare.
Nel cosiddetto “Catalogo dei baroni” (1153) erano indicati tutti i servizi che i cavalieri, i magnati, i nuovi proprietari, alle dipendenze dirette del re - esattamente come nell’Inghilterra normanna - dovevano prestare in cambio del feudo ottenuto e della carica ereditaria (anche l’alto clero aveva obblighi precisi).
Il sovrano restava proprietario assoluto di tutti i feudi, il che gli permetteva di disporre di cospicue fonti di redditi diretti e quindi di assicurarsi piena libertà dalla volontà dei baroni. Tutti i sudditi del regno, in gradi e forme diverse, erano alle sue strette dipendenze e tutti, persino il clero, dovevano contribuire, in uomini o armi, a mantenere alto il livello di militarizzazione del regno. I contadini privi di libertà personale venivano praticamente incatenati al feudo.
Sfruttando la pratica dei catasti, già usata dagli arabi, i normanni conoscevano esattamente la tipologia delle terre dei diversi feudatari, l’elenco dei coltivatori che vi risiedevano e quindi l’entità dei tributi da versare.
Le comunità rurali meridionali si difendevano strenuamente da questa oppressione e nei secoli XII e XIII anche in maniera organizzata, al punto che si costituirono come universitas
. Esse pretendevano che gli obblighi cui i contadini erano tenuti venissero messi per iscritto e che si riconoscesse loro il diritto a una proprietà allodiale (comune) e a trasmettere i propri possessi in eredità e persino a venderli se l’acquirente s’impegnava a versare gli stessi canoni che gravavano sul terreno. Era peraltro vietato arrestare i contadini e confiscarne le proprietà senza una sentenza del tribunale. Tuttavia gli organi di governo in tali comunità erano nel sec. XIII tutti in mano a funzionari statali di nomina regia.
I normanni non solo ambivano a tenere sottomessi i contadini ma non amavano neppure i ceti mercantili, né furono mai favorevoli a uno sviluppo autonomo dei Comuni. Gli unici privilegi commerciali li avevano concessi ai veneziani, che portavano in Sicilia tessuti di lana, broccati, velluti ecc., mentre il regno dell’isola era stato sostanzialmente trasformato in un granaio per l’Italia centro-settentrionale.
In compenso il loro apparato burocratico-amministrativo era molto efficiente. La stessa giustizia veniva amministrata non dai baroni ma da funzionari statali (solo le grandi congregazioni religiose restavano autonome).
L’assolutismo dei sovrani si scontrò inevitabilmente con quello del papato. Già nella raccolta di leggi del 1140 (Assise Ariane) i normanni ricorsero alla teoria delle “due spade” (i poteri spirituale e temporale reciprocamente indipendenti) per far capire alla chiesa di non tollerare ingerenze di tipo politico: papa Adriano IV fu costretto a piegarsi.
La chiesa fomentò varie ribellioni baronali, ma a queste i normanni rispondevano sempre espropriando i baroni dei feudi assegnati in precedenza, rivedendo tutti i privilegi concessi e ridistribuendo a molti piccoli cavalieri solo una parte delle terre confiscate. Sotto Guglielmo I (1154-66) fu persino emanata una legge che impediva a un vassallo di contrarre matrimonio senza il consenso del re.
Grazie ai normanni il papato poté comunque perseguire una progressiva latinizzazione della chiesa greca meridionale, soprattutto in due aspetti: il riconoscimento del primato pontificio su ogni altra istanza ecclesiale e la potestà di consacrazione che aveva il papa su tutti i vescovi, greci o latini che fossero, nonché quella dei vescovi latini su tutti i sacerdoti, anche su quelli di rito greco.
I sovrani normanni si limitavano a pretendere che, per quanto possibile, i sacerdoti latini fossero della loro stessa stirpe.
Dinastia Normanna del Regno di Napoli e Sicilia
Il primo insediamento normanno nel sud Italia, si deve a Rainulfo Drengot nel 1027 quando fu investito del titolo di conte di Aversa, dal duca di Napoli Sergio IV, in compenso dell'aiuto ricevuto nel conflitto con i longobardi del principato di Capua.

 
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